Vittorio Tinelli e il Poema… Della Scala

Vittorio Tinelli e il Poema… Della Scala




Vittorio Tinelli e il Poema… Della Scala

Sono immerso nella lettura di questo elegiaco libro del Tinelli: un poeta, ma non solo, che ha lasciato in eredità una raccolta di versi di immediata profondità.

L’uomo Vittorio ha da tempo terminato il suo viaggio terreno (nel 1991) ma ciò che ha scritto, seppur in un determinato momento storico, trascende lo spazio temporale che contraddistingue ogni essere vivente.

Commovente, inoltre, il modo in cui è stato impaginato il volume: ma di questo parleremo più avanti.

Devo subito dire che Padre Gennaro Antonio Galluccio OSB (Ordo Sancti Benedicti – Ordine Benedettino) ha curato in maniera sopraffina quanto si andrà a scrutare.

Ovviamente parto dalla esaustiva presentazione di Vito Goffredo – Priore dell’abbazia “Madonna Della Scala”, in quel di Noci; città metropolitana di Bari.

Il Goffredo, tra l’altro, scrive: “Oggi si percepisce un progressivo allontanamento dell’uomo dalla Cultura”. E come non essere d’accordo. Poi aggiunge: “L’inesorabile invasione della tecnologia nella nostra vita quotidiana ha come effetto la crisi del Poeta”. Beh, personalmente credo che nessuna artificiosità possa annientare i sentimenti che albergano in ogni essere umano, specialmente quelli di un Poeta; o, almeno, me lo auguro.

Ci immergiamo con animo live alla lettura delle poesie (ventiquattro per la precisione), rimaste per lungo tempo inedite.

Vittorio Tinelli le dedicò al monastero e, in particolar modo, a don Giovanni Battista Ceci, pietra miliare della struttura, di lì in divenire.

La presentazione, dopo le puntuali specifiche, termina con i doverosi ringraziamenti a coloro che, a vario titolo, ne hanno reso possibile la pubblicazione; e vale a dire: l’infaticabile P. Gennaro Antonio Galluccio; il Prof Leonardo, figlio del poeta, e la sua famiglia; l’Associazione Culturale “Vittorio Tinelli paroleecosenuove”; il Prof Tommaso Turi, e, infine, La Fusillo Costruzioni, nella persona di Nicola Fusillo, mecenate di nobile estrazione.

Prima di trovare i versi abbiamo ancora la Distanza Tra La Parola E Le Cose; il sentito omaggio di un figlio al padre, nonché la Visione Teologica Del Poema: una stupenda ouverture del Turi che srotola l’essenza di tutte le poesie di Tinelli.

E per terminare con le varie introduzioni al libro troviamo la prefazione di P. Gennaro Antonio Galluccio, il quale toglie il velo ai quadri in versi che ci apprestiamo ad ammirare.

Come detto prima ciò che rende unico, ai limiti del pathos, questo prezioso volume è il modo in cui è stato confezionato; e cioè che i versi scritti in maniera “tecnologica” si specchiano negli stessi che sono stati vergati dalla penna del Tirelli, riportati, a suo tempo, su un foglio di quaderno.

Ma passiamo ad “analizzarne” alcune.

La prima che troviamo è Invito, che altro non è se non una esortazione a visitare il luogo spirituale che tanta pace infonde nei cuori travagliati; difatti leggiamo: “Vieni… Se sei stanco, scorderai ogni pena, ogni fatica ed allegro ammirerai la ridente valle aprica. Alla Scala lieto vieni, c’è una chiesa grande e cara. Ed in giorni più sereni scorderai la vita amara”. E prosegue con la sollecitazione finale: “Vieni: il verde, l’aria pura, il silenzio, la preghiera sono la migliore cura per chi vive, soffre e spera”. Credo che il Tinelli abbia sperimentato in prima persona il misticismo palpabile che effonde La Scala.

E risulta ancor di più convincente con Sali Verso La Pace.

Nella Il Canto Della Lotta troviamo la carezza della Pineta; oasi di pace e di lotta al contempo dove l’uomo, con l’invincibile potenza del pensiero, della volontà e soprattutto della Fede può sconfiggere il Male.

In Ora Et Labora, è intrinseco tutto il pensiero benedettino che intesse una mirabile ghirlanda intorno alla preghiera e al lavoro, o viceversa. In questa semplice regola ci trovi la serenità ed il rimedio al pianto per tutta l’umanità malata e tetramente infelice.

Il suggerimento ad entrare in chiesa: giacché lontano da Dio –al di fuori di essa- parole e discorsi sanno di niente.

Poi Vittorio Tinelli prega, e rivolgendosi umilmente al Padre Nostro gli chiede di illuminarci, poiché noi, esseri meschini, non siamo altro che ombre assetate di Luce.

Dopodiché esorta i confratelli ad uscire dal “guscio” (il Tempio), per spargere il Bene ovunque.

Molto toccante e vibrante è il suo sguardo rivolto al Campanile. E qui urge riportare i versetti che chiosano la composizione: “Nella bronzea squillante tua canzone mattutina mi par sentire un vegliardo venerando che instancabilmente dice e ridice canta e ricanta ai figli suoi e al mondo la parola del dovere, del dovere, del dovere verso Dio, verso gli uomini, verso sé stesso”. E adesso ditemi se non sentite le campane che scuotono l’intimo di ognuno di noi.

Il libro, altresì, è corredato da fotografie che lo arricchiscono visibilmente. Una di queste (tra le tante) ci introduce all’interno della biblioteca; luogo di sapienza per eccellenza. Spazio al quale Tinelli dedica i suoi versi ed invita l’avventore a soffermarsi in quanto… qui ci sono i sapienti di tutta l’umanità… i quali… intorno a te tacciano in un alto e dignitoso silenzio! Interrogali, o lettore fortunato e ti risponderanno.

Lo scrittore ci fa pure visitare, con le foto, e vedere con i suoi ispirati versi altri posti, come l’orto, la tipografia, il refettorio.

Non manca l’ossequioso tributo a coloro che hanno reso possibile la realizzazione del mirabile progetto; e, pertanto, oltre i versi scopriamo il soave volto di Donna Laura Lenti Bacile; dell’abate D. Emmanuele Caronti; di P. D. Agostino Lanzani, ingegnere/architetto; il primo abate D. Giovanni Battista Ceci; così come riscopriamo le otto campane e La Madonna Della Scala, tela di Ernesto Bellandi.

Ma anche tutte le altre (poesie) sono acqua di Fonte.

Ciò che rende prezioso il volume in questione, oltre chiaramente agli alati ed ispirati versi, curato con la maestria che gli appartiene da Gennaro Antonio Galluccio, e lo rende piacevole al lettore, è la semplicità, unitamente alla profondità, di quanto ha saputo riportare Vittorio Tinelli, interpretando la pochezza spirituale dell’uomo, o donna che sia, che si allontana sempre più dalla Bellezza per far spazio a beni materiali che difficilmente potranno accompagnarci nella vita eterna.

Intenerisce, mi si passi la ripetitiva considerazione, l’aver riportato la calligrafia di Tinelli, che ad un attento esame rivela una sensibilità umana non comune.

Per quanto mi riguarda, perciò, ho preferito leggere, e rileggere, quanto scritto dal Tinelli nella sua “versione originale” dove, lo ribadisco, si denota lo stile caldo, vistosamente intriso di umanità e Fede.

Ma, per meglio calarsi nella spiritualità che l’abbazia emana, non ci resta altro da fare se non recarci di persona.

filippodinardo@libero.it