Lite tra gabellieri nella Giugliano di metà 1500

Lite tra gabellieri nella Giugliano di metà 1500




 

Il cammino per la costruzione della storia di Giugliano è come un campo dopo la pioggia di primavera: fiori che spuntano di tanto in tanto. Non è un campi fiorito ma un prato verde dove quelle solitarie presenze ti danno la certezza che, prima o poi, tanti colori formeranno un unico pennello, come il Bulb Fields di van Gogh.
Gianfranco Russo, instancabile animatore della comunità di Archivio Area Giuglianese, nonché presidente della omonima associazione culturale, durante una delle sue permanenze presso l’Archivio di Stato di Napoli, ha ritrovato le indicazioni di un fascicolo processuale inerente una vertenza sorta tra gabellieri nella Giugliano del 1569. Il fascicolo è collocato presso la Regia Camera della Sommaria, sezione processi antichi.
Allo stato il sunto del procedimento non ci permette di entrare nella complessità della intera vicenda ma fornisce utili indicazioni per una prima valutazione di alcuni elementi. Cominciamo dagli attori chiamati a rispondere delle proprie azioni dinanzi al giudice: Leonardus Pennachium de Jugliano e Mercurio Florentino. A questi fanno da contorno una serie di testi, non sappiamo se a carico o a discolpa: Gentile Ystaldo, Fonzo Yusso, Adjuto Milone, Joe Jacolare, Badanante Pennacho, Jacopo Cimino, Bastiano Jacolare, Costantino Chianese, Antonio Terone, Jeronimo de Feo e Vergilio Chianese. Rimandiamo alla acquisizione dell’intero incartamento la collocazione precisa dei singoli personaggi nella diatriba. Sappiamo, di certo, che si trattava di una vertenza tra gabellieri in merito alla gestione della “sbarra di sant’Antonio”.
I due protagonisti, il Pennacchio ed il Fiorentino, avevano appaltato la “gabella del grano” che transitando per quel punto di dogana arrivava alla “piazza di Giugliano”.
“Sbarra di sant’Antonio”. Saremmo portati a pensare alla località posta sulla via che, oggi, porta a Parete, luogo indicato dal Basile come sede della parrocchiale di san Felice, vescovo di Nola, distrutta, al pari degli edifici circostanti, in una delle tante battaglie combattute tra fazioni angioine per la supremazia su Napoli, attorno al 1390. Ancora al 1800 si scorgevano resti di selciato di una strada che doveva essere stata comodo ed adatta ai commerci, il Basile suppone la direttrice Pozzuoli –Capua, cosa che sposterebbe la ubicazione in zona più entro terra rispetto alla via attuale sorta accanto al convento francescano, dedicato ai santi Antonio e Crescenzo, ma sorto nell’anno 1591, quindi dopo i fatti inerenti la vicenda giudiziaria della gabella. Dobbiamo dedurre che la località avesse assunto quella denominazione già prima dell’intervento francescano.
Le gabelle erano dazi imposti sulle merci destinate al commercio alimentare, in primis. Ne erano gravate la frutta, il pesce, la carne, il grano. Negli atti di cessione dei feudi vengono indicati come elementi di valutazione del feudo alienato ed indicati scrupolosamente per la singola imposizione. Data la frammentarietà del territorio la corte concedeva a privati la gestione della riscossione dietro pagamento di un versamento annuale. Era compito dell’appaltatore eseguire in modo spietato la esazione al fine di trarne guadagno. Molto spesso l’appalto veniva sub-appaltato. Le liti, le sottrazioni di somme e gli screzi tra soci scaturivano dai comportamenti insiti nella natura contrattuale, sia del passato che del presente. Probabilmente il Pennacchio ed il Fiorentino avevano litigato per qualche cosa di simile. Non lo sappiamo. Il numero di testi chiamati in causa fa presumere che dovette trattarsi di qualche cosa di grosso. Ve ne renderemo notizia al reperimento delle carte processuali. Dunque la merce, il grano, in questo caso, transitava per la “sbarra di sant’Antonio” e giungeva nella “ piazza di Giugliano”.
Questo conferma la centralità strategica del casale di Giugliano. La sua posizione a ridosso sia della strada regia che conduceva verso Napoli, la attuale Appia, che della strada Campana che portava , attraversato Quarto, verso il porto di Pozzuoli, le faceva svolgere il ruolo di cerniera di congiunzione tra questa arterie e le zone che si estendevano a nord del lago di Patria, verso le colline dei Camaldoli, e quelle di Mugnano, Calvizzano, Marano etc.
Da qui la importanza del mercato della “piazza di Giugliano”. Ma dove era collocato questa piazza?
Il pensiero corre immediato alla attuale piazza Matteotti, ergo piazza Mercato. Ma i fatti di causa avvengono alla metà del 1500. Il casale è ancora diviso in due possedimenti quello del Pinelli, che da poco ha rilevato tutte le altre, quattro o cinque, parti in possesso di Giovan Bernardino Carbone, e quello della famiglia del duca di Monteleone, i Pignatelli. Leggiamo cosa scrive il Basile, a pagina 31 e seguente, della sua opera, in rapporto allo stato, all’epoca, della attuale piazza: “ un tempo però questa piazza non era cosi spaziosa perché , sappiamo per tradizione, che a fronte della chiesa di santa Sophia vi erano casamenti, ed al tempo delle rivoluzioni un certo Giovanni, detto bicchiere, capo dei fazionari, li fece buttare a terra asserendo di volere fare beneficio alla chiesa, infatti la quale oggi non avrebbe l’aspetto che ha oggi se fossero esistiti tali edifici”. Del resto i documenti ci danno agli inizi del sesto decennio del 1500 il palazzo Pinelli ancora in costruzione, tanto è che le prime certificazioni nei registri sono del 1569. Quindi la piazza dove si teneva il mercato non era quella che ha rivestito tale funzione sino a pochi decenni orsono ed oggi denominata piazza Matteotti.
Quale ipotesi possiamo fare?
Il mercato doveva tenersi in luogo pubblico ed in posizione baricentrica rispetto all’edificato.
Solo lo spazio risultante dalla distruzione del palazzo baronale posto alla metà della odierna via Cumana, toponimo non esistente alla metà del 1700, si presta allo scopo.
Vediamo come lo descrive il Basile, alla pagina 27 del suo lavoro, “ … si chiama la piazza del Pozzo, e fu nei secoli passati una delle piazze principali, poiché vi si vedeva un palazzo Baronale con una gran torre, il suolo ridotto oggi a giardino, e pure ivi del 1435 (testuale la data) alloggiò Alfonso d’Aragona”.
L’accesso avveniva mediante il passaggio attraverso le “doganelle” di esazione delle gabelle.
Una, ancora esistente, parallela alla odierna via Roma, per coincidenza in proprietà della famiglia Pennacchio, una altra posta alla porta di Vico Cacciapuoti, un’altra ancora posta alla porta del vico Ponte e quella che dalle “sbarre di sant’Antonio” immetteva dalla zona di Camposcino.
Erano queste le vie che percorrevano le merci trasportate verso la “piazza di Giugliano” ?
Con molta probabilità erano queste o quanto meno allo stato delle nostre ricerche di archivio possiamo avere una forte certezza che lo fossero.

Pio Iannone