L’invisibile Basilica di Santa Fortunata a Lago Patria nel pregevole saggio storico dell’Architetto Gianfranco Russo
Giugliano non può vantare di avere avuto una continuità di attenzione culturale sulla propria storia, lasciandosi trascurare da quanti avrebbero dovuto vegliare sulle sorti della sua insignificante attualità pseudo-sociale, perché solo così può definirsi un improduttivo trascorrere degli anni col frenetico miraggio di dare un significato contingente al presente senza produrre niente per l’indomani.
Discutendo oziosamente nella cerchia dei pochi arrabbiati guardiani del passato, si è spesso arrivati a dichiarare che ‘‘Giugliano non ha un popolo’’, perché non lo si è formato, e tantomeno educato ad avere cura di se stesso per riuscire ad essere orgoglioso di qualcosa da poter trasmettere agli altri, nella prosecuzione generazionale di se stesso, senza arrossire di vergogna.
Giugliano non ha un popolo cosciente di valere qualcosa oltre l’apparenza concettuale e politica del suo presente, perché nella sua metodologia amministrativa ha quasi sempre bandito la Cultura, come estranea, se non addirittura ostacolo, ai suoi interessi. Ma ci si è dovuti rassegnare a considerare che, nella prosecuzione della sua crescita sociale e culturale, il popolo ha gli amministratori che si merita, se non è riuscito ad esprimere di meglio.
Dal passato degli ultimi duecento anni ci è stato lasciato poco o niente, da quando ipoteticamente Giugliano sarebbe stata amministrata non più dagli Utili Patroni, ma dalle nuove più immediate e autorevoli rappresentanze territoriali, d quando l’autorità amministrativa ha cominciato a prendere il nome di Sindaco, con la corte selezionata dei suoi collaboratori, che hanno rappresentato la Giunta ed il Consiglio variamente denominato
Ma la situazione si è aggravata da quando si sarebbe dovuto cominciare a sperare in meglio, cioè dall’inizio della storia post-unitaria, dal 1861, quando si cominciò a riconoscere l’opportunità politica di affidare l’amministrazione locale nelle mani di professionisti ed uomini di cultura, per quanto selezionati nella cerchia dei Bonatenenti, come dire – con il Manzoni – che ‘‘col novo signore’’ era rimasto ‘‘l’antico’’. Intanto, però, la società locale era rimasta cristallizzata nel suo antico territorio, che era stato protetto, nei secoli addietro, sotto il velo dell’ignoranza storica, come dire ‘‘Occhio non vede, mano non desidera’’. E sì, perché poi, questo territorio, lo si è cominciato a depredare, distruggere ed umiliare. E questa è la Storia di Giugliano degli ultimi sessant’anni, la Storia del suo territorio, dall’insorgere dei primi mini-palazzinari spontanei, che cominciarono a costruire le ville sui reperti archeologici, fino ad arrivare a radere al suolo, impietosamente, con la ruspa della più incoerente ignoranza, l’antichissimo Villaggio di Zaccaria, circa un anno fa, e con la benedizione degli organi istituzionali, che osarono giustificarsi dichiarando di aver fatto il proprio dovere di legittimazione degli atti.
Queste considerazioni sono insorte, nel mio animo esacerbato, mentre continuavo a leggere con interessata attenzione il recente libro dell’architetto Gianfranco Russo, il bel saggio sulla Basilica di Santa Fortunata a Lago Patria.
Stampato nel dicembre scorso da Claudio Editore in accordo con Archivio Giuglianese, amministratore del quale è lo stesso Francesco Gianfranco Russo, questo saggio storico è arrivato in libreria circa tre mesi fa, nel mese di febbraio. Consta di 96 pagine, nelle quali la trattazione si ritrova agilmente distribuita in dodici capitoli, con ampio corredo fotografico e documentale. Deve, pertanto, riconoscersi all’Autore, in primis, il merito di aver dato un ordine narrativo con la scansione degli argomenti per capitoli distinti, applicandovi, oltre la passione della curiosità culturale, una profondità professionale acquisita, ovviamente, anche attraverso un curriculum di studi accademici, quale architetto.
Il testo, elaborato con la suddetta suddivisione micro-tematica,merita una particolare attenzione critica, perché si tratta di un argomento di per sé accattivante per chi ha interesse ad approfondire la Storia trascurata di Giugliano, e perché va letto con discernimento critico (il che significa con cauta e paziente attenzione) per comprendere appieno la sua complessa articolazione, sorretti – non a caso – dalla misurata suddivisione in capitoletti.
Intanto, bisogna prendere le mosse di partenza dalla enunciazione di una difficoltà che l’Autore premette introducendosi nel primo capitolo, dove egli scrive: «Dare vita ad un elaborato che descriva un reperto storico-religioso distrutto è difficile». Da questo assunto comincia l’esaltante avventura ricognitiva, attraverso l’esposizione dei documenti acquisiti e le ipotesi prudentemente avanzate, anche sfidando il rischio di un azzardo, per concludere così, all’ultimo capitolo: «Della basilica di santa Fortunata non resta nulla». Questa amara e condivisa constatazione giustifica la conseguente grave denunzia dell’architetto Gianfranco Russo, come uomo di cultura, il quale infine scrive che la residua e documentata traccia archeologica della Basilica/Martyrion di Santa Fortunata «è stata sradicata dal suolo nel silenzio generale. Neppure una voce, né amministrativa né religiosa e neppure popolare, ritenne nella metà del secolo scorso di intervenire a difesa della storia e della fede, neppure la Soprintendenza che esisterebbe solo per questo». Ma l’accusa affiora già nel V Capitolo, nel quale si fa riferimento ai proprietari dei terreni, io dico per la loro interessata ignoranza, per la cecità distratta della Soprintendenza e per l’ignoranza dei politici ed amministratori locali con il supporto confortevole dei tecnici della stessa insipienza ed incapacità culturale. Ed il concetto, ricorrente, viene ancora ribadito al Cap. X, perché lo scempio della politica assente ha ignorato il grave avanzare dell’abusivismo edilizio dove c’erano le tracce evidenti della Storia, della nostra lontana identità culturale, della nostra Civiltà.
Per meglio soddisfare la giustificata curiosità di chi vorrá introdursi alla lettura del saggio, io ritengo – per la ricca complessità degli argomenti trattati – che non sarebbe sufficiente limitarsi ad offrire una frettolosa presentazione ad un pubblico occasionalmente interessato ed accorso quasi come atto dovuto nei confronti dell’autore per una reciproca frequentazione amicale. Al di là della presentazione ad un pubblico eterogeneo, ed al momento numericamente ridotto in osservanza delle disposizioni anti-assembramento, questo saggio storico meriterebbe di essere accuratamente esposto come tema di un convegno aperto alla partecipazione di una più vasta platea di studiosi ed appassionati di storia locale, per suscitare un dibattito ed arricchire ancor più la comprensione della ricostruzione documentata e delle ipotesi congetturate, in ordine alla cronologia, sull’esistenza storica della Basilica/Martyrion di Santa Fortunata a Lago Patria.
Pertanto, così motivato, mi concedo la libertà di ripercorrere l’articolazione dei capitoli e di fare qualche osservazione là dove ritengo si possa evidenziare uno spunto di confronto, insieme alla logica articolazione degli argomenti trattati dall’Autore con l’attenzione ed il rigore dello studioso, lasciando comunque intendere che questa storia è fatta di luci ed ombre, proprio perché – come egli osserva – «dare vita ad un elaborato che descriva un reperto storico-religioso distrutto è difficile», dato atto che «della basilica di santa Fortunata non resta nulla».
Emmanuele Coppola