Il “luogo di Narone” a vico Martino tra corride e opera dei pupi.
Lo svago nella Giugliano degli anni ’50 del secolo scorso.
Leggendo il diario del notaio Pirozzi, redatto a cavallo tra il 1700 ed il 1800, mi aveva sorpreso la notizia che la sera del 20 ottobre 1782, una domenica, venne a Giugliano il Re Ferdinando IV°, accompagnato dalla moglie, la Regina, ospite nel palazzo del principe Colonna, padrone del feudo di Giugliano. L’occasione della visita era data dal piacere di assistere ad una “caccia con il toro”. Come accade sovente, in previsione della visita, furono aggiustate le strade e spianato lo spazio antistante la chiesa di santa Sophia. In questo, allora denominato piazza del mercato, furono costruiti steccati a protezione del pubblico e palchetti che potevano contenere sino a cento persone. Nonostante ciò i posti andarono tutti esauriti, nonostante che si dovettero pagare a caro prezzo.
Terminato il pranzo, offerto dal Colonna al Re, verso le 22 cominciò la caccia. Per primo doveva uscire un toro bufalino al quale doveva seguire una bufala cacciatora e due tori vaccini. Per i vincitori erano previsti premi per 10 ducati. L’allevatore degli animali era il signor Giovanni di Stasio.
Ma il tempo cominciò a mettersi a nuvoloso e già durante la prima esibizione una leggera pioggia prese cadere sugli spettatori. Molti, anche per il prezzo pagato, continuavano a rimanere seduti ai loro posti ma la pioggia prese a cadere incessante ed in modo copioso. Verso la mezza notte era un vero e proprio diluvio quello che cadeva dal cielo. Il Re fece ritorno a Napoli mentre coloro che erano venuti dai paesi vicini per assistere allo spettacolo dovettero chiedere ospitalità ai giuglianesi.
Raccontavo questa notizia all’avvocato Enzo Faiello durante una amena conversazione tenuta qualche giorno orsono nel cortile di casa mia avente ad oggetto notizie storiche inerenti Giugliano. La curiosità e montata al punto di cercare altre testimonianze di questo tipo di manifestazioni nella nostra città.
In effetti il notaio Pirozzi non fornisce dettagli in merito alle modalità di questa “caccia” per cui l’avvocato Faiello si è lanciato in una ricerca storica su questo tipo di manifestazione ottenendo anche la testimonianza del signor Domenico Riccardo, papà dell’avvocato Luigi, il cui ricordo di giovinetto è chiaro della occasione di svago fornita dalla “caccia alla bufala”.
Dunque la caccia alla bufala era una ricorrenza diffusa tra la zona del basso Lazio, probabilmente retaggio della dominazione spagnola. La giostra di Ceccano , egregiamente narrata da Giovanni Targioni Tozzetti a fine 1800, vedeva la bufala imbrigliata con funi ed eccitata sino a farla impazzire e correre per le vie del paese in una sorta di corrida di Pamplona. Dopo averla sfinita con crudeltà di ogni tipo l’animale veniva ammazzato la mattina successiva alla manifestazione e la sua carne venduta dall’organizzatore del macabro festino. Pare che la necessità di questo rituale si nasconda dietro la necessità di uccidere la bufala quando i muscoli sono caldi pena la sgradevolezza delle carni. Non so se sia vero ma questa è la spiegazione che ho trovato. Insomma qualche cosa di diverso da quello narrato dal notaio Pirozzi che porta la “caccia”, che si effettuava a Giugliano, più vicino alla corrida classica con tanto di arena , palchi e spettatori.
Le notizie dello spettacolo che aveva luogo a Giugliano verso gli anni ’50 del secolo scorso, come narratoci dal signor Riccardo, lo configura come qualche cosa di ben diverso dalle due forme di “caccia” sino ad ora descritte.
Il luogo di svolgimento di questo terzo tipo di “caccia” era vico Martino nel cortile detto “ ‘o luogo ‘e narone”, appartenente alla famiglia Pirozzi. Un cortile ove oltre alla “caccia” si tenevano anche spettacoli de “l’opera dei pupi”.
Il signor Riccardi mi ha fatto rivivere quei momenti che, lo dico subito non avevano un esito crudele, almeno nella maggior parte dei casi, durante una visita al cortile concessa dalla gentilezza dei proprietari e per l’amicizia di questi con la nostra guida speciale.
Vico Martino è un percorso stretto e non tanto lungo, un epoca totalmente di proprietà della famiglia Taglialatela Scafati, prende nome dal cognome della consorte di uno di questi. Percorrendolo sino in fondo, sulla destra, aperto il grande portone di ferro, ci si trova in uno di quei classici cortili del centro storico inondato di luce e di grande estensione. Alla sinistra dell’entrata vi era la stalletta entro la quale veniva alloggiata la bufala, in verità un maschio di buona prestanza, di fronte a questa un quadrato di terra battuta, normalmente usato per lo stallo dei cavalli, privo di selciato, per evitare il fastidio del rumore degli zoccoli durante le soste, che durante la “caccia” ospitava un cerchio composto da pali conficcati nel terreno all’interno dei quali si riparava l’improvvisato torero.
Tutto intorno gli spettatori, paganti, si affollavano sui balconi e sul lastrico solare, trattenuti, in questo ultimo caso, da una corda tesa per evitare indesiderati “voli” nel vuoto e sui palchi di prima fila. Questi ultimi erano costituiti da una serie di carrette legate l’una accanto all’altra coi vuoti coperti da tavolati : erano i posti in “prima fila”.
Uscito dalla stalletta la bufala si trovava al centro di un chiasso indemoniato, esasperato dal “tracco” che il torero gli lanciava tra le zampe. Tra questo e l’animale una botte fungeva da cuscino ammortizzatore delle cornate che venivano sferrate, man mano che questa si sfasciava il temerario sfidante si rifugiava tra i pali posti a cerchio che lo riparava dalle cornate. Ad un certo punto l’animale tendeva a calmarsi ad abituarsi al clamore della folla ed allora l’organizzatore tirava l’asso dalla manica: un mastino napoletano proveniente da Marano, pare si chiamasse masaniello, addestrato a questo tipo combattimento. Il molosso mirava al collo ed alle orecchie della bufala che, di contro usava zampe e corna in modo egregio. Quando il combattimento si metteva male per uno dei due contendenti allora intervenivano gli organizzatori che separavano le “belve” mettendo fine allo spettacolo.
La folla sciamava fuori dal cortile mentre i ragazzi riproducevano le gesta del torero ammazzando, virtualmente, la bufala.
Proprio di fronte all’ingresso del palazzo un vasto locale ospitava l’ “opera dei pupi”.
Decine di persone si assiepavano sulle scalcinate panche di legna inveendo contro il “ cattivo” , ‘o malamente”, che rifiutava di sposare la giovane compromessa per amore. L’ingenuità della brava gente la portava ad immedesimarsi nelle scene rappresentate dai pupi, un poco come oggi molti si rivedono nei personaggi delle telenovelas, avendo, a differenza di chi in solitudine è seduto dinanzi ad un televisore, la possibile di organizzarsi e perseguire il pupo che rappresentava il cattivo con invettive e lancio di oggetti.
Alla fine dello spettacolo, al pari degli spettatori della caccia alla bufala, il pubblico sciamava commentando vivacemente le storie narrate dai guitti nell’attesa della prossima venuta a Giugliano di questi venditori di sogni, precursori della attuale cultura di intrattenimento.
Antonio Pio Iannone