La strage di Giugliano dell’ ottobre 1495.
Che Giugliano sia stato luogo di battaglie e di acquartieramenti di eserciti e cosa da me descritta in più occasioni. Partendo dalla battaglia tra fazioni Angioini del 1380, durante la quale fu distrutto il borgo ubicato in quello che ora è indicato come arco sant’Antonio, a quella del 1437 combattuta tra Alfonso d’Aragona e le truppe papaline ed angioine, a seguito della quale vi fu la distruzione del castello ubicato nell’ angolo tra l’attuale via Cumana e la zona di via Metito, i cui resti sono riportati nell ’affresco del convento di santa Maria delle Grazie a inizio 1600, a quelle della fase post rivolta di Masaniello quando il casale diviene quartiere d’arme di del duca di Guisa. Mi fermo a questi episodi per introdurre le notizie apprese da cronache dell’epoca in merito al saccheggio e la strage avvenuta nell’ottobre 1495.
La presa del regno da parte degli Aragonesi non era mai stata accettata dai Francesi che si erano dati da fare per la riconquista del regno di Napoli. Questa attività vedeva parte della nobiltà napoletana schierata in parte con i francesi e parte con gli angioini.
Questo condusse a guerre e congiure, la più nota delle quali fu quella, cosiddetta, “dei baroni”, alla quale prese parte il Carbone proprietario di una parte di Giugliano mentre un’altra parte del territorio, quella di Casacelle, faceva capo ai Carafa, sostenitori e parte integrante della corte aragonese.
In quel momento è sovrano Ferdinando II d’Aragona, detto Ferrandino. E’ nato a Napoli nel 1469 , è un re molto giovane e lo è diventato perché il padre , Alfonso II, aveva abdicato in suo favore.
Aveva abdicato perchè pensava, con quel gesto, di fermare l’avanzata delle truppe francesi, guidate da Carlo VIII, che marciavano su Napoli per riprendere il regno perduto dagli Angiò. La mossa non ebbe gli effetti sperati: l’imminente arrivo dei francesi spinse molti nobili napoletani a cambiare partito e parteggiare per colui che pareva essere il nuovo padrone.
Come succederà nel 1860 il tradimento dei generali favoriva l’avanzata francese e Ferrandino non ebbe altra scelta che quella di ritirarsi a Ischia. Nel febbraio del 1495 Carlo VIII entrò in Napoli e prese dimora in Castel Capuano. Fece, però, una scelta sbagliata: collocò al vertice della amministrazione pubblica suoi uomini. Perse, così, il favore dei nobili esclusi dagli uffici. Pensava che la partita fosse risolta ma gli altri stati italiani si coalizzarono e aiutarono Ferrandino a riorganizzare le truppe napoletane. La simpatia del popolo per gli aragonesi era palese e il mutare delle condizioni convinsero Carlo a tornare in Francia. Partendo da Messina le truppe aragonesi e napoletane risalirono la Calabria. Il popolo napoletano permise a Ferrandino di tornare al comando. I francesi furono intrappolati ad Atella (zona Grumo Nevano) e costretti ad arrendersi. Ma la guerra continuò per molti mesi ancora. Una malattia lo portò alla morte in poco tempo. Mori nel settembre 1496.
Questo è il quadro della situazione storica ora vediamo quello che ci interessa.
Nel 1845 Paolo Garzilli pubblica una cronaca dell’epoca in questione trovata nella biblioteca di S. Angelo a Nilo a firma di tal notar Giacomo. Pare essere stato un notaio che si chiamava Giacomo della Morte.
Ecco cosa leggiamo in questa cronaca : è il 4 ottobre 1495, i francesi lasciano Nocera de pagani e dopo avere saccheggiato Fragola e Pumigliano d’Arco ….. “ et dopo andarono a Jugliano dove facendo resistencia ad una torre quella la battagliarono etsi la presero et ammazzarono 300 persone dove fecero preda de victuvaglia et di de bestiame” successivamente …l’8 di ottobre “ alli VIII decto fo facta certa lista di gentilomini et cittadini quali se diceva essereno partiali de franza aliquali fo facto loro comandamento che se dovessero imbarchare et cosi imbarcharono etsi li expulsero per francisi a yscla ( Ischia) et alibi dove nce stectero parricchi di”. Evidentemente il giorno 4 un attacco dei francesi ha conquistato la Torre e ucciso molte persone. A questi succedono le truppe aragonesi che ritengono parte della popolazione nemica e la mandano la confino ad Ischia. Ma il giorno 10 i francesi dopo un ulteriore tentativo di entrare in Napoli, attraverso l’odierno tunnel di piedigrotta “ ….laxaro tutte le monicioni che haveano portato et al retorno abbruciarono gente assai a Jugliano”.
Sin qui il racconto di notar Giacomo. Ma l’episodio è confermato ed è riportato in una raccolta di cronache di varie epoche pubblicata a cura di Bernardo Perger nel 1780. Nella cronaca di un anonimo si narra che il 6 di ottobre del 1495 ( i francesi) …foro a Marano e a Yogliano e fecero molto danno” inoltre nello stesso volume è riportata la cronaca redatta da tale Feltrio che ci dice che il 7 di ottobre i francesi…” mesero a sacco no casale che se chiama Jugliano”.
Le varie fonti danno certezza degli episodi, ne deduciamo che la morte di trecento persone dovette essere frutto di una battaglia vera e propria dove dovettero fronteggiarsi, anche, fazioni locali a sostegno dell’uno e dell’altro schieramento tant’è che dopo pochi giorni gli aragonesi mandano in esilio un numero imprecisato di nobiluomini e di cittadini. Che il casale fosse stato messo a ferro e fuoco è una novità storica mai riferita ma la cosa più interessante è la menzione che la battaglia si svolse per la conquista di una torre.
Da tempo la lettura della facciata della torre del palazzo Palumbo visto da Licoda dava la sensazione di due fatture completamente diverse, avevamo ipotizzato, io e l’arch. Gianfranco Russo, che ad una preesistente torre di epoca angioina o , forse, aragonese, il Pinelli, dopo all’acquisto della parte del feudo appartenuta al Carbone, facendo costruire il suo palazzo, nel 1540 circa, abbia utilizzato la preesistente torre che non avrebbe avuto nè motivo nè facoltà, in epoca vicerale, di realizzare.
Comunque la menzione della torre porta un nuovo elemento per la costruzione della comprensione di una Giugliano sino ad oggi sconosciuta. Questo ci incita a continuare sulla nostra strada di ricerca e divulgazione di una comunità fatta anche di “gentiluomini e cittadini”.