Questa storia comincia una fredda mattina dell’ 11 novembre 1998. La chiesa collegiata di santa Sophia, di proprietà della popolazione giuglianese, è già diventata il pozzo della cuccagna per i ladri di opere d’arte. Gente che agisce su commissione e conosce bene quello che deve trafugare e quello che può lasciare. Già qualche anno prima erano state trafugate opere della metà del XVII° secolo ma questo non era valso il risveglio o la comprensione, da parte delle pubbliche autorità, dei tesori posseduti in quello scrigno d’arte che è, appunto, la chiesa di santa Sophia. L’11 novembre 1998 vennero trafugate cinque tele ed una statua lignea rappresentante San Giuliano. L’episodio finisce nel dimenticatoio della memoria labile di una popolazione che ha già perduto, in quel momento, il senso della sua storia. Fortunatamente non di tutti. Ed è a questo punto che entrano in scena i nostri eroi, quelli che non dimenticano ed anzi catalogano tutto quello che è stato rubato alla memoria storica del popolo giuglianese e lo racchiudono in un volume dal titolo emblematico che dovrebbe suonare a vergogna per chi era ed è preposto alla gestione della cosa pubblica: Trenta anni di furti d’arte nella città di Giugliano in Campania. Stiamo parlando del prof. Mimmo Savino e del prof. Tobia Jodice. Rispettivamente presidente e vice presidente della Pro Loco Città di Giugliano. Nel volume, tra le tante raffigurazioni di opere trafugate, inseriscono anche quelle di Pacecco de Rosa dedicate a san Giuliano martire e san Deodato martire. Le opere oggetto della storia che seguiamo a raccontare. Passano gli anni e l’impegno dei nostri due concittadini continua incessante e instancabile in difesa della storia della città. Arriviamo cosi al 2011. Una telefonata giunge alla sede della pro loco. Un militare della Arma dei Carabinieri del Nucleo Tutale del Patrimonio Artistico Nazionale chiede informazioni sulle opere rubate in quel novembre 1998. Chiama da Ancona. È probabile che siano state individuate tra quelle oggetto di sequestro all’interno di una nota galleria d’arte della città della costiera adriatica. Segue un lungo scambio di informazioni, tra il prof. Savino e il militare dell’Arma, sino al punto che bisogna porre un punto fermo alla questione mediante l’ espletamento delle formalità burocratiche: vi è bisogno del riconoscimento delle opere sequestrate come quelle oggetto del furto. Andare ad Ancona per un riconoscimento pare un poco dispendioso, soprattutto per chi svolge a titolo gratuito, se non a proprie spese, tutte le incombenze legate alla faccenda. L’uomo giusto al momento giusto è un sottufficiale dell’arma che pare mandato dal cielo o, in questo caso, da santa Sophia. Il graduato organizza tutto affinché la prassi burocratica possa svolgersi nella sede del Nucleo Patrimonio d’Arte dei Carabinieri allocato nel Castello di sant’Elmo, a san Martino, a Napoli. Partono di gran carriera il Rettore della Collegiata, don Luigi Ronga, il professore Savino ed il professore Jodice, per la sua specifica funzione di esperto d’arte. Muniti delle documentazione giusta e della cultura e della conoscenza necessarie ed indispensabili in queste occasioni formalizzano il riconoscimento: le due tele recuperate e mostrate in foto sono proprio quelle del Pacecco de Rosa trafugate dalla collegiata di santa Sophia nel novembre del 1998. Tutto risolto? Neppure per idea! Il gallerista che detiene le opere porta a sua difesa, dinanzi al magistrato che deve decidere se convalidare o meno il sequestro, una tesi apparentemente ineccepibile: i due quadri sono si opera del De Rosa ma simili a quelle trafugate perché le loro misure sono diverse da quelle indicate nelle relative schede della Soprintendenza alle Belle Arti. Occorre smontare la tesi, bisogna fornire elementi che la contrastino. Ad un tratto durante un colloqui con l’ing. Raffaele Jovinella, persona che ha dedicato una vita alla cura della collegiata e del culto di san Giuliano, al prof. Savino si accende la fatidica lampadina: le diverse dimensioni delle opere sono dovute al fatto che la Soprintendenza le aveva misurate comprensive delle cornici. Ovviamente in assenza delle stesse le tele risultavano notevolmente più piccole. La tesi è condivisa dal sottoufficiale dei Carabinieri che segue il caso ad Ancona ma rimane una tesi senza prova. Ed è qui che si verifica l’altro intervento miracoloso: le cornici esistono e sono conservate nel cortile della chiesa, l’ing. Jovinella ne è certo e il prof. Savino ne è entusiasta! Ed è cosi! Le cornici vengono recuperate ma non è sufficiente. Le misure, semplicemente trasmesse via telematica, indicano ma non sostanziano e il gallerista ha il fior fiore degli avvocati a sua difesa. Allora in modo pratico e senza esitazioni don Luigi Ronga, a sue spese, fa imballare le cornici e le spedisce ai Carabinieri di Ancona. Questo deve porre fine ad ogni discussione. Ormai la faccenda si chiude con un grande trionfo: hanno vinto i Carabinieri del Nucleo Tutela Beni Artistici, il prof. Savino e il prof. Iodice, l’ing. Jovinella e don Luigi Ronca. E gli altri ? La città e le sue decine di associazioni culturali che respirano in occasione dei grandi eventi ciclici? Per il momento non hanno vinto e non possono essere affiancate ai cinque concittadini che hanno operato il miracolo ma possono ancora iscrivere il proprio nome accanto a questi che ci hanno restituito, con il loro impegno e la loro tenacia, un pezzo della nostra storia culturale. Come? Cominciando a capire che abbiamo una storia, che questa storia è racchiusa negli edifici sacri e nei fabbricati del centro storico. Che se li si lascia crollare con essi crolla la nostra storia, quella piccola cosa che ci differenzia dagli animali. Allora cominciare ad abbandonare quel modo di ragionare per il quale se avanza qualche spicciolo lo investiamo in qualche spicconatura di intonaco della chiesa del Purgatorio o stendendo qualche rete aerea che raccolga i calcinacci che cadono dalle cupole di santa Sophia o della Annunziata. Spettacoli vergognosi di una conduzione amministrativa che nel corso del tempo ha scordato che quelle opere sono il frutto del lavoro e della genia dei propri avi. Rinnovando e rivitalizzando il patrimonio d’arte di Giugliano si può iscrivere il proprio nome accanto a coloro che hanno riportato a Giugliano le tele del Pacecco de Rosa. Altrimenti sarà stata un lampo di luce in una notte che non accenna a passare.
Antonio Pio Iannone
26 novembre 2015