Cumana posteritas” tra tradizione e reale ipotesi storica

Cumana posteritas” tra tradizione e reale ipotesi storica




Cumana posteritas” tra tradizione e reale ipotesi storica
La storia è il tramandare fatti avvenuti nel tempo. Fatti che hanno colpito la fantasia delle genti che li ha vissuti o che in essi ha affondati le proprie radici.
Certo il passare del tempo copre sempre di più i fatti attraverso il racconto tramandato. Anche se questo è trascritto da qualche parte è sempre la visione del fatto dal punto di vista del redattore.
Questo vale soprattutto quando le fonti scritte su quei fatti risalgono a tempi antichi. È il caso delle origini di Giugliano, sia del toponimo che della sua fondazione.
Scrive Agostino Basile che questa difficoltà nasce proprio dalla mancanza di testimonianze scritte e certe.
Una delle certezze, sia del Santoro che del Basile, è la proclamata continuità tra Giugliano e Cuma, o meglio, tra la gente di Giugliano e la Cuma antica.
Asserzione che mi ha sempre incuriosito
Asserzione che viene ribadita in occasione della distruzione della rocca per mano napoletana nell’anno 1207 quando il capitolo religioso della città distrutta, unitamente alla sua popolazione, pervenne a Giugliano.
Una continuità che si era, già, voluta ribadire nel tempo arricchendo parti delle chiese antiche con manufatti provenienti da Cuma e legando ad essa il culto principale della comunità, la Madonna della pace, il cui simulacro sarebbe approdato proprio sulla spiaggia cumana.
Sorvolando sulle varie ipotesi e prestando sempre attenzione a quanto scrivevano gli antichi ho sempre pensato che qualche legame forte dovesse, giustamente, come sostenuto, esistere e doveva essere un legame, sicuramente, antecedete al 1207.
La lettura di un elaborato pubblicato sulla rivista Temporis Signa – archeologia della tarda antichità e del medio evo. Numero XI – anno 2016, a cura di G. Rossi ed altri ha suscitato in me qualche certezza che avvalora le ipotesi degli autori antichi.
Il lavoro è intitolato: I campi flegrei nell’alto medio evo tra epigrafia e topografia. Il caso della “carthularia venditionis” del casale di Memorola.
Tratta di una epigrafe su pietra inerente il contratto di vendita, di questo casale, tra una serie di persone. Il ritrovamento della pietra lapidaria, nel 1800, ed è indicato come avvenuto in
“ tenimento della distrutta città di Cuma”.
Si tratta di un reperto già descritto da Gianfranco Russo il 7 ottobre 2015, recuperabile, per la lettura, tra i post di Archivio digitando la parola “lapidaria”
Diciamo subito che il reperto ci interessa solo per la parte delle notizie che fornisce nelle pagine, che nelle note dei redattori, riferite al nostro ragionamento che possiamo sintetizzare in questo quesito: perché gli antichi giuglianesi hanno sempre sostenuto di essere diretti eredi della popolazione cumana?
Partiamo da un dato che forniscono i due autori antichi Santoro e Agostino Basile: ln prossimità della chiesa di sant’Anna venne cavato il primo pozzo. Siamo nell’anno 777 e il pozzo per la fornitura di acqua è il primo elemento necessario ad una comunità stabile.
Il periodo nel quale viene collocata la realizzazione della pietra è quello del VIII secolo.
È bene sapere, per contestualizzare i fatti, che si tratta di un tumultuoso periodo di lotta tra il papato, i bizantini e i longobardi .
Periodo caratterizzato da alleanze molto effimere.
Tra il 717 ed il 719 Cuma è protagonista di un tragico evento: Il castello era stato occupato da Romualdo II, duca di Benevento, che, dopo averlo sottratto alla proprietà della chiesa di Roma, vi aveva posto un gastaldo ed una forte guarnigione. Papa Gregorio II ne domandò con forza la restituzione e, vedendo negate le sue richieste, chiese aiuto al duca di Napoli, Giovanni.
Che era Bizantino rappresentante di Costantinopoli.
Il castello venne riconquistato nel 719 dopo una cruenta battaglia in cui perse la vita lo stesso gastaldo, ma per impedire un ritorno e una vendetta longobarda il papa fu costretto comunque a pagare una sorta di riscatto.
Si tratta di una vicenda che denota l’importanza data dalla chiesa di Roma alle sue proprietà nell’area flegrea, tra le quali Cuma doveva rappresentare un fondamentale caposaldo di presidio del territorio.
Mi dilungo ma contestualizzare un avvenimento è la prima base di una ipotesi storica.
Torniamo alla carta lapidaria
Tratta, come detto, della vendita di un fondo che è collocato nel tenimento della chiesa puteolana ma nella ricerca della sua ubicazione, attraverso la descrizione dei confini, gli studiosi hanno prodotto rappresentazioni che lo collocano al confine con la chiesa cumana.
In queste rappresentazioni è riportato il “fondus Iulianu” ricadente nella giurisdizione della diocesi cumana e collocato all’interno della sua area di pertinenza in una zona interna all’attuale Licola e adiacente alla via Cuma/Capua. Grosso modo nella zona di Grotta dell’olmo
Scrivono gli studiosi: “Il fundus Iulianu rappresenta l’altro esempio importante di continuità toponomastica con il medioevo, ed è verosimilmente riferibile al prediale (dal gentilizio Iulius, mutuato poi nel cognomen Iulianus) che diede nel X secolo il nome a Iulianum (Iullanum Maius, Villa Iuliani ecc.) e che compare nei documenti a partire dal 1070, sopravvivendo nell’attuale Giugliano in Campania. Il fundus è quindi con certezza da collocare a nord della città cumana, oltre la via Cumis-Capuam”
La data della conquista longobarda di Cuma comunemente accettata è quella i tra la fine di ottobre ed il novembre del 716.
Una fonte databile alla metà del IX secolo, nel definire Cuma parla di una città “depopulatas a bardorum gentes”.
La vicenda di Cuma e del suo territorio tra il 715 ed il 719, fornisce la probabile certezza che la trascrizione epigrafica del documento del casale di Maremola possa essere proprio legata alle vicende che vedono l’area cumana contesa tra longobardi e bizantini, insomma una sorta di avviso con la rivendicazione di una proprietà esistente e certa.
La città di Cuma e il territorio del casale di Maremola, oggetto della compravendita, si trovavano esattamente presso il limes ( limite) tra Ducato di Napoli e Ducato di Benevento. Una zona contesa dal VII secolo in poi e, in seguito, oggetto della lotta tra Napoli ed Aversa che porterà alla definitiva distruzione di Cuma del 1207.
Zona di tale scontro che i napoletani ritennero opportuni traslare, proprio nell’VIII secolo, le reliquie di santa Fortunata trasferendole a Napoli.
Anche se i nostri storici fanno riferimento alla data del 1207 come momento della venuta della gente cumana a Giugliano è significativo che una epigrafe di provenienza dell’area cumana collochi un “fundus julianu” ben prima di questa data.
È bene ricordare come fin dal XIII secolo Iulianum e poi Giugliano si fregiò del titolo della città che aveva accolto i sopravvissuti della distrutta Cuma ponendosi come il polo territoriale che continuò e preservò la tradizione della città abbandonata.
In conclusione ritengo di poter ipotizzare che realmente Giugliano sia stata fondata, o organizzata come nucleo urbano, attorno al 700 da genti cumane che si erano traferite all’interno del territorio per sfuggire alla violenza che caratterizzava la città di provenienza per la contesa tra longobardi, papato e napoletani portando con essi il toponimo di provenienza Julianu.
Senza dimenticare che il toponimo nel corso del tempo è sempre riportato come Jogliano, Julianum, Jullanum.
Infine Giugliano.                                  Antonio Pio Iannone