Nella nostra epoca dove il viaggiare è posto alla base della vita, o meglio della economia, passare sette giorni e cinque notti in un “resort” africano è il massimo della avventura. Roba da immortalare in decine di scatti e selfie da rivedere e mostrare seduti nel salotto di casa. Già la memoria di quelli che partivano per migrare alla fine dell’800, sul vapore, impiegando quaranta giorni di navigazione per andare in America, è un ricordo sbiadito. Voglio parlarvi di una capsula del tempo che ci narra la voglia di viaggiare dell’uomo del 1400. Certo ce ne saranno tante altre distribuite ogni dove d’Europa ma voglio parlare e illustrare quella vicino a noi, quella che ormai immobile, vede il passare , ed ha visto il passare, di migliaia di fedeli che come pellegrinaggio percorrono il cammino tra la propria casa e l’altare della Annunziata di Giugliano. La capsula del tempo che mi ha affascinato sin dalla più giovane età: la lastra tombale di Annibale, Annibballo come riporta la lastra, Canta.
La potete osservare nel Santuario della Annunziata a Giugliano. Di fronte la cappella della Madonna della pace. Murata nel pilastrone che divide la navata dal piccolo spazio dinanzi alla uscita laterale della chiesa.
Vedrete un uomo di media statura con le mani incrociate su di un libro sotto il quale fa capolinea una croce, verosimilmente, disegnata sulla tunica. La scritta in basso è quella che ci interessa o meglio che deve fare riflettere i viaggiatori nostrani, low-cost , sul significato vero del percorso, del cammino. La scritta ci dice che il nostro Annibale è stato a Gerusalemme in pellegrinaggio. Lo dice la iscrizione posta sulla lastra e lo riporta Agostino Basile che cosi descrive nelle memorie….” Si racconta di questo divoto prete, che mentre stava in Gerusalemme, mori qua sua madre, e il Signore gliel rivelò, per cui notato il girono, e l’ora, ritornato, ritrovò esser cosi”, ma lo conferma anche la raffigurazione del cedro del Libano impressa nel marmo, in basso a destra. Qui vi sta un altro indizio delle doti del nostro globe-trotter: due conchiglie bivalve poste ai lati dell’albero. Annibale oltre che Gerusalemme è stato, probabilmente, in pellegrinaggio anche a Santiago de Compostela, ed è passato per la casa della conchiglia.
Ma chi era Annibale. Non lo sappiamo. Non esistono registri catastali e dei fuochi del casale all’epoca. O per lo meno nessuno li ha cercati. Probabile, se esistevano, che potrebbero avere fatto parte della massa di documenti distrutta dai tedeschi, a san Paolo Belsito, durante la seconda guerra mondiale, quando, con lo spirito di civiltà che ha sempre distinto quel popolo, distrussero parte dell’archivio di Stato di Napoli portato in quel posto per tenerlo lontano dagli americani che bombardavano in continuo la città di Napoli, con predilezione per gli obiettivi civili.
Due cose le sappiamo. Anzi tre. La prima è che stiamo parlando di un casale, quello di Giugliano, che al censimento dei fuochi, delle famiglie, di qualche decenni prima, contava circa 130 fuochi imponibili. Circa 450 persone. Se vi aggiungiamo quelli che non pagavano tasse possiamo arrivare, esagerando per eccesso, ad un migliaio di persone. La seconda è che Annibale era cappellano della parrocchia di sant’Anna. Ci si potrebbe domandare del perché la sua lastra tombale sia posta all’interno della Annunziata. Probabilmente perché tra le famiglie che vi facevano capo vi erano i Canta o Cante che vi possedevano anche una cappella propria per l’interro dei membri della schiatta. La terza è che Annibale era ricco. La ricchezza dei tempi si intende, di certo era membro di una famiglia agiata. Perché lo dimostra il possesso, da parte della famiglia, di una parte di una chiesa pubblica, lo testimonia la fattura della lastra tombale, e perché, da qualche decennio, parte della famiglia, forse quella di Annibale, era esentata dalle tasse e dai tributi, ed accorpata alla cittadinanza aversana con la possibilità di esercitare uffici pubblici, per avere aiutato, nel 1437, Alfonso d‘Aragona a sfuggire all’agguato delle truppe papaline proprio qui a Giugliano.
Il nostro Annibale, dando per scontata la visita a Roma, la città santa, ha visitato i tre luoghi di pellegrinaggio del Cristiano dell’inizio dell’era moderna: Roma, appunto, Santiago de Compostela e Gerusalemme.
Sorvolando sulla descrizione del viaggio per la visita a Roma, che alla luce degli altri due possiamo considerare una gita fuori porta, andiamo a vedere le particolarità ed i percorsi da fare per raggiungere Gerusalemme e Santiago de Compostela.
Gerusalemme è la città santa per eccellenza. Lo è per tutte le tre religioni del Libro: la Cristiana, l’Islamica, l’Ebrea. Per raggiungerla si erano sviluppati, nel corso di tutto il 1300, una serie di percorsi terrestri e marittimi. Inizialmente dal porto di Napoli ci si imbarcava e, con una navigazione di cabotaggio, che costeggiava la Campania, la Calabria, dopo avere attraversato lo stretto di Messina, si arrivava a Gerusalemme. Erano, soprattutto, frati francescani che vi si recavano per assistere i cristiani fatti prigionieri dai Mori, approfittando dei buoni rapporti tra re Giacomo II d’Aragona e il sultano di Egitto, al Nasir.
Precedentemente il percorso aveva una parte terrestre che partendo da Capua e passando per Benevento portava il pellegrino verso i porti pugliesi per l’imbarco. Si utilizzata il percorso dell’Appia e della Traiana che si sviluppava, da Capua a Otranto, per 289 miglia, ovvero 470 kilometri circa.
All’epoca di Annibale Canta la situazione era mutata. Il controllo veneziano del mare adriatico, coi suoi capisaldi commerciali e militari, costituiva una maggiore garanzia al viandante. Alla rotta tirrenica si sovrappose quella adriatica che dai porti pugliesi portava alla terra Santa. Il ritorno avveniva con una sosta a Candia dove si poteva scegliere tra la navigazione lungo le coste dalmate o istriane o con la rotta verso i porti pugliesi. Penso che Annibale abbia fatto proprio questa ultima rotta sostando a Candia, precedendo il compaesano, Giovan Battista Basile, che vi presterà servizio come uomo d’arme, alcuni decenni dopo.
Abbiamo lasciato per ultimo il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela.
Compostela. Campo delle stelle. Già il nome dà la sensazione di una dimensione ultraterrena, di tranquillità, di sogno, ed è appunto con un sogno che comincia questa storia.
L’eremita Pelagio verso la fine del IX secolo ebbe una visione: una selva di luci, come stelle, illuminavano una selva sulla quale gli angeli cantavano celestiali melodie.
Avvertì immediatamente il vescovo che diede ordine di capire cosa avvenisse il quel luogo. Furono trovate tre salme, una delle quali con la testa mozzata e con un cartiglio tra le mani che recava la scritta: “qui giace Giacomo figlio di Zebedeo e Salomè”.
Era la conferma tangibile della verità storica di quella che sino allora era stata ritenuta una leggenda. Questa narrava che Giacomo, fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo, apostolo di Gesù, era stato il primo vescovo di Gerusalemme. Cercò di evangelizzare le terre iberiche ma ebbe scarso successo. Fatto ritorno a Gerusalemme fu imprigionato e decapitato, tra il 41 e il 44 d.C. Un piccolo nucleo di fedeli ispanici trafugò il corpo e, nottetempo, con una barca senza equipaggio, guidata dagli angeli, portò il corpo sino alla foce del fiume Ulla, preso Finisterre, in Galizia.
Qui la persecuzione dei Cristiani era forte e portata avanti dalla coppia regnante: la regina Lupa e il di lei consorte Duyo. Come avviene nelle storie a lieto fine la regina si converti al cristianesimo e il corpo di san Giacomo poté riposare nella piana, ove lo ritroverà Pelagio, nella quale sorgerà Santiago de Compostela.
Il luogo, del quale si era persa la memoria, riposto nell’angolo della leggenda, riprese vigore per mano di Alfonso II delle Asturie detto “il casto” che fece erigere sul luogo del ritrovamento la prima cattedrale che conserva i resti mortale di Giacomo di Zebedeo. Il complesso, gestito dai monaci benedettini, divenne meta di una particolare viaggio/pellegrinaggio che, effettuato per la prima volta proprio da Alfonso il casto, continua ancora oggi. Cerchiamo di capire i percorso fatto dal nostro Annibale per raggiungere la meta.
Aveva a disposizione una guida, una sorta di Michelin dell’epoca,
contenuta nel libro V del Codex Calixtinus scritto alla fine del 1200. La guida indicava le vie da percorrere, i luoghi di riposo e di assistenza e gli ospitali dove curare le infermità dalla quali il pellegrino veniva immancabilmente colpito. Il più noto di questi fu l’ospitale di santa Cristina posta nella regione dei Pirenei, su quello che viene definito il percorso Aragonese per giungere alla meta. La via maggiormente frequentata era quella detta la “via francese”. Il nostro Annibale dovette partire indossando abiti semplici segnati dalla croce sul petto, che lo indicava come uomo dedito ad un pellegrinaggio, recante con se i soli viveri contenuti in una bisaccia. Avrebbe provveduto la provvidenza a fornire ogni necessario per sopravvivere. In verità alla fine del 1400 il pellegrinaggio era una scelta di religiosi o nobili. L’esposizione della conchiglia, della specie oggi detta “cappasanta”, era un accrescimento del proprio status. Annibale ne mostra due. Non sappiamo se intendesse dire che il pellegrinaggio era stato compiuto due volte e neppure sappiamo se la visita a Santiago e Gerusalemme sia avvenuta durante una sola occasione. Comunque dovette risalire lo stivale per raggiungere la “via Tolosana”. Raggiungere la valle del Rodano, fare tappa ad Arles, Narbonne, Tolosa, passare il valico dei Pirenei, al passo Somport, 1630 metri di altezza, ove avrebbe trovato, appunto l’ospitale di santa Cristina. Avrebbe attraversato luoghi mitici come Roncisvalle per poi passare per Pamplona. L’età di Annibale è una età favorevole al viaggio del “cristiano”. È l’età che vede la fine della “reconquista” con la presa di Granada, con il papa spagnolo, Alessandro VI , un valenciano, che doterà Isabella di Castiglia e Fernando d’Aragona del titolo di Re Cattolici. Già in passato, il pellegrinaggio era stato beneficiato dalla istituzione della festa di san Jacobo, da cadere il 25 luglio, e della indulgenza plenaria emanata da Alessandro III per coloro che visitavano la cattedrale. È anche il momento della partenza di Colombo per raggiungere un mondo nuovo. Come il mondo nuovo raggiunto da Annibale che dopo avere visitato la Basilica di san Giacomo, nel campo delle stelle, avrà proseguito verso Muxia e Finstierre, la dove Madonna, che aveva solcato i mari, su di una barca di pietra, per incitare l’apostolo Giacomo alla conversione della Spagna, aveva lasciato la sua immagina su di uno scoglio. Quella immagina che era stata portata nella chiesa di Muxia. Luogo non voluto dalla Madonna che ritornò sugli scogli ove i fedeli, intuita la volontà, ne edificarono il tempio. Annibale sarà andato con la mente a qualche cosa di simile accaduta nella sua Giugliano qualche decennio prima. Avrà bruciato un suo abito a simboleggiare la distruzione del mondo spirituale passato ed avrà raccolto quella conchiglia che scolpita sulla sua lastra tombale ci fa capire, dopo centinaia di anni, quanto fosse forte il suo animo e la sua fede. La sua voglia di viaggiare per trovare o ritrovare se stesso e l’uomo nuovo che c’era in lui.
Antonio Pio Iannone