Alfonso d’Aragona salvato dai giuglianesi

Alfonso d’Aragona salvato dai giuglianesi




 

L’episodio di Giugliano del 1437 è rimasto sconosciuto alle cronache ed alla ricostruzione storica delle vicende del Magnanimo per secoli sino al riemergere, in sede locale, con il lavoro di studio e di ricostruzione delle vicende cittadine portato avanti dalla pro-loco, diretta da Mimmo Savino, che con la pubblicazione di testi e documenti di archivio sta ricostruendo un passato dimenticato.

Il primo a parlare dell’episodio, o almeno il primo di cui si ha notizia, è Bartolomeo Facio con il suo lavoro, del 1580, intitolato “Fatti d’arme di Alfonso d’Aragona primo re di Napoli con questo nome”, edito a Venezia e dedicato a Ferrante Carafa, conte di Satriano. Lo segue, nel 1800, don Agostino Basile che nella sua “Historia della terra di Giugliano”riprende l’episodio arricchendolo di particolari che, probabilmente, il Facio non poteva conoscere.

La narrazione prende il via dall’interno di quella che oggi è la chiesa di santa Sophia in Giugliano.
E’ il 25 di dicembre del 1437. Alfonso d’Aragona è in preghiera in questa chiesa. Dobbiamo immaginare la scena chiudendo gli occhi vedendolo in ginocchio dinanzi all’altare. Non esiste il transetto, non vi è il coro, non vi sono cappelle laterali. Solo la semplice navata della chiesa laicale di Giugliano, una delle due chiese laicali dell’Università. È una scelta non casuale. Alfonso alloggia a pochi metri, il quel grande palazzo baronale, con gran torre, riportata dal Basile, che, con grande probabilità, verrà saccheggiato e distrutto proprio in quella occasione, dopo la sua ritirata verso Capua. Un palazzo che era stato, nel secolo precedente, quel castello di Giugliano, riportato nelle fonti bibliografiche, posseduto dai Minutolo e dai Masone Aversano.
A poca distanza vi è pure la parrocchiale di sant’Anna. Eppure Alfonso decide di ritirarsi in preghiera nella chiesa posta al di fuori del centro urbano, quella laicale.

Il papa del momento, quel Eugenio IV che gli ha scatenato contro il Vitelleschi, non è proprio suo amico.
Il gesto della scelta di una chiesa laicale suona un poco come una possibilità di invocare un Dio diverso da quello rappresentato dal papa.
L’avventura che lo porterà sul trono di Napoli era cominciata nel 1421 quando le sue navi avevano rotto l’assedio alla città e garantito il trono a Giovanna II d’Angiò. Proprio la Regina lo aveva chiamato in soccorso promettendogli, con l’adozione, il regno, pur di levarsi di torno l’odiato parente Luigi che pretendeva il trono per il diritto conseguente alla saga familiare dei d’Angiò. Ma Alfonso V d’Aragona non era il tipo da sottostare alle decisioni di una Regina gestita dal suo amante, Sergianni Caracciolo, e dal banchiere fiorentino Gaspare Bonciani. Dopo la divisione delle dimore, Giovanna con Sergianni in Castel Capuano e Alfonso in Castel Nuovo, si arriva allo scontro armato ed alla fuga di Giovanna, e del suo seguito, ad Aversa, a pochi passi da Giugliano.
Giovanna si riavvicina a Luigi e lo nomina Duca di Calabria.
Alfonso è costretto a tornare in patria per questioni di conflitti locali e, a quel punto, è facile gioco per Giovannariconquistare il regno, non prima di avere risolto la questione del Caracciolo che viene fatto pugnalare.
In poco tempo registriamo la morte di Luigi e il trasferimento, da parte di Giovanna, dell’eredità del trono di Napoli, al fratello Renato I d’Angiò.
Giovanna muore nel 1435.

Il conflitto riprende con Alfonso che, aiutato dai suoi fratelli, ritorna alla carica. Viene sconfitto nello scontro navale di Ponza e fatto prigioniero dai genovesi che agiscono per conto di Filippo Maria Viscontiduca di Milano. A questo punto i due pretendenti al trono sono ambedue prigionieri: Renato in Bretagna, ove comandava truppe del re di Francia in qualità di generale, e Alfonso del duca di Milano. Entra in gioco la moglie di Renato, Isabella, che arriva a Gaeta e cerca di portare dalla sua parte i fedeli di Alfonso.
A questo punto abbiamo in campo per Renato le truppe papaline, mandate da Eugenio IV, al comando del patriarca Vitelleschi e le milizie angioine comandate da Giacomo Caldora, e quelle di Alfonso che può contare solo sulle sue forze. Per i due fronti parteggiavano, salvo poche eccezioni, i baroni del regno a seconda della situazione.
Lo scenario del conflitto si gioca tra l’alto casertano sino alla zona di Venafro, tra Capua e Gaeta, il Nolano ed il Beneventano e la zona costiera a sud di Napoli. Alterne vicende e, per i sospetti che animavano il Vitelleschi verso il Caldora e viceversa, quest’ultimo riteneva il Vitelleschi più fedele al papa che a Renato, si arriva ad una tregua tra Alfonso e Vitelleschi. Siamo nel dicembre 1437.

Alfonso si ritira a Giugliano considerando che per la posizione strategica della località può, nel contempo, porre assedio a Pozzuoli, privando Napoli dei rifornimenti, e Aversa, fedele agli angioini. Può ipotizzare tanto perché le truppe avversarie oltre ad essere divise da contrasti sono, per parte, soggette alla tregua stipulata, e non rappresentano alcun pericolo.
Ritendendo la situazione lesiva degli interessi papali il vescovo di Benevento riunisce i due uomini d’arme, sostenitori del papa e del campo angioino, e li riappacifica. A quel punto il Vitelleschi può giocare sulla sorpresa derivata dalla sua volontà di non onorare il patto di tregua stipulato con Alfonso.
Chiude tutti i passi e blocca le strade. È sicuro di stringereil Magnanimo in una morsa tra le truppe stanziate in Aversa, quelle di Napoli e le colonne che al seguito suo e del Caldora stanno convergendo su Giugliano.
Ma Alfonso non è uomo ingenuo ed ha preso in considerazione una situazione simile. Aveva convocato i maggiorenti di Giugliano che parteggiavano per la causa Aragonese e aveva ricevuto informazioni preziose sulla situazione del terreno. Del resto la sua scelta di acquartierarsi ini zona scaturiva dal fatto che gran parte del territorio era in possesso di Antonio Carafa detto Malizia. Colui che lo aveva sponsorizzato presso Giovanna e continuava a sostenerlo. Carafa aveva acquistato la grande parte della zona denominata “Casacella”.

Il periodo invernale con le sue piogge rendeva difficoltoso l’attraversamento delle campagne e impossibile il transito verso l’interno, verso Capua. Unica possibilità era l’attraversamento della strada regia che lambiva Aversa, presidiata dalla truppe fedeli a Renato, o, in alternativa, l’attraversamento della zona paludosa posta a nord–est di Giugliano, tra AversaSant’Antimo. Esisteva in quella zona un piccolo passaggio, proprio in mezzo alla palude, che conduceva ad un ponte sul fiume Clanio. Passato il ponte la strada verso Capua era praticabile e libera, ma bisognava garantirsi la gestione del passaggio. Alfonso udite le raccomandazioni dei giuglianesi, e ricevute le notizie in merito alla violazione della tregua da parte del Vitelleschi, inviate dal duca di Montesarchio, dispose che squadre di suoi armigeri, guidate da giuglianesi, andassero a presidiare il ponte ed il passaggio. Altri giuglianesi, conoscitori profondi del territorio, furono inviati come vedette nella zona interna.

Bartolomeo Facio, Fatti d’arme di Alfonso d’Aragona primo re di Napoli con questo nome

Torniamo alla mattina del Natale del 1437. Alfonso è in chiesa, partecipa, con la sua profonda spiritualità, alla funzione sacra quando lo raggiunge una delle vedette locali. È un giuglianese. Lo avverte che le truppe nemiche sono ferme a Caivano dove si stanno ricongiungendo e stanno facendo abbeverare i cavalli. Non resta molto tempo. Bisogna levare il campo e ritirarsi in Capua. Immaginiamo Alfonso che lo guarda, lo ringrazia con un sorriso, e gli fa cenno di volere restare sino al termine della funzione sacra.

Il campo è in allarme. Una manovra diversiva viene messa in atto. Alcune squadre di armigeri vengono inviate verso Aversa per distrarre i fedeli di Renato dalle reali intenzioni degli Aragonesi. Piccole scaramucce. Alfonso seguito dallo stato maggiore e dal grosso delle truppe agisce seguendo le indicazioni fornite dai giuglianesi che guidano la colonna armata. La fiducia è massima. La fama del senso dell’onore della gente di Giugliano è nota anche all’Aragonese. Gente che quando si schiera e dà la sua parola la mantiene, a costo della vita… non come il Vitelleschi.
Gli scontri sul fianco della colonna procedono ma il terreno paludoso non permette alle truppe stanziate in Aversa alcun movimento ed alla fine la volata verso Capua è cosa fatta. Alfonso è in salvo. Non cosi Giugliano.

Le truppe angioine e papaline assalgono l’abitato privo di persone. Tutti si sono rifugiati nelle campagne temendo la ritorsione sulla popolazione. Vengono saccheggiate le case dei giuglianesi e i beni che Alfonso aveva dovuto lasciare per la fuga. Il palazzo baronale è raso al suolo. Non risorgerà più. A poca distanza un secolo dopo Cosmo Pinelli erigerà la sua casa fortezza.

Alfonso sale al trono nel 1442 dando vita all’Epoca Aragonese a Napoli, epoca rimpianta dai cantori del tempo a venire come l’epoca d’oro della città di NapoliAlfonso, evidentemente, lascia memoria di questo aiuto fondamentale che gli ha permesso di conquistare il trono. Come riporta Agostino Basile, nella sua opera, il figlio Ferranteche era succeduto al trono, nel 1464,conferisce a Joannello Maglione e, nel 1474, a JacobelloMarino e Salvatore Canta l’aggregazione in perpetuo alla cittadinanza aversana e le relative esenzioni ed immunità nonchè la facoltà di esercitare, in Aversa, gli uffici riservati ai nobili della città proprio per l’aiuto fornito al padre nell’episodio del natale del 1437. Ferrante avrà come consigliere Diomede Carafa, figlio di Antonio, uno dei maggiori diplomatici dell’epoca che mai dimenticò che senza la fedeltà e la lealtà dei giuglianesi forse, Alfonso non avrebbe potuto dare vita alla sua epoca d’oro.

 
Autore: Antonio Pio Iannone

Bibliografia:

Bartolomeo Facio, Fatti d’arme di Alfonso d’Aragona primo re di Napoli con questo nome

Agostino Basile, Historia della terra di Giugliano

Biagio Aldimari, Historia genealogica della famiglia Carafa, vol 3, p. 688

Biagio Aldimari, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, p. 603.

Soria Francescoantonio, Memorie storiche critiche degli storici napoletani, t. 1