Trent’anni di furti d’arte e…..
Questa mostra fotografica si inserisce in un contesto estremamente importante, quello relativo alla collocazione alla base del campanile di Santa Sofia delle copie delle tre lapidi trafugate la notte del 31 maggio 1994. Per la prima volta quindi, dopo tante spoliazioni, la città di Giugliano si riappropria di un frammento della propria storia. Certo non si tratta della storia secolare di cui quegli antichi marmi erano portatori, perché di copie appuntosi parla, ma questa operazione rappresenta comunque un primo tentativo di sanare, foss’anche in maniera sbagliata, la ferita che con quello ed altri furti è stata inferta alla città. Si perché anche se sono in pochi a rendersene conto, quando ad una città, ad una comunità di persone si sottraggono le opere d’arte dalle proprie chiese, dai propri palazzi, dalle proprie strade si strappano via pezzi di una identità, di una storia collettiva chenon potranno mai più essere ricostruite. Tutti quanti, indistintamente, dopo un furto d’arte sono più poveri, e se è vero, come diceva un’antica massima greca, che altro non si è se non nani su spalle di giganti, dopo un gesto così vigliacco di sicuro quei giganti sono un po’ più piccoli, e non è difficile immaginare come si veda e si vadasempre meno lontano.
Non è facile guardare le foto delle opere d’arte rubate nel corso degli ultimi trent’anni a Giugliano. Non è facile perché, si ami o meno l’arte in generale, si viene comunque irretiti da una sorta di strana nostalgia, simile, per intendersi, a quella che si prova allorquando si rispolverano da un cassetto le foto di quando si era giovani oppure quelle in cui compare qualcuno che ora non c’è più. Se poi ci si sofferma a riflettere su quelle immagini in bianco e nero, allora non si può, oltre la nostalgia, non provare anche un profondo senso di rabbia. Scorrendo le date che hanno segnato la spoliazione di frammenti così importanti della storia cittadina, ma soprattutto ripercorrendo con la memoria le circostanze in cui quei furti si consumarono, non si può non gridare vendetta per le molte, troppe leggerezze che hanno caratterizzato la gestione del nostro patrimonio artistico.
Vogliamo, con un pizzico di accondiscendenza, sorvolare sull’ingenuità che nel 1978 non fece porre in essere alcuna forma di protezione nei confronti dell’opera di Angiolillo Arcuccio nella parrocchia della Madonna delle Grazie, ma ci risulta impossibile capire ed accettare che oggi, a quasi trent’anni di distanza, quell’opera straordinaria, benché ritrovata, sia ancora sottratta alla città per il solo fatto che la stessa parrocchia per cui un certo Giovanni Cacciapuoti nel 1478 la volle e la immaginò non è ancora dotata di un sistema di sicurezza che ne scongiuri, nei limiti del possibile, una nuova sottrazione. Ma questa rabbia è nulla di fronte a quella che si prova osservando le preziose foto che ritraggono la chiesa delle Concezioniste prima della catena di furti che l’hanno ridotta a quell’insieme di brandelli che ora è. Come fu possibile lasciare incustodite all’interno di quell’edificio una tela di Paolo De Matteis ed una di Giovanni Simonelli? Come fu possibile consentire che si avviassero dei lavori di restauro senza provvedere alla rimozione di quelle opere e di tutto il resto che vi era custodito? Chi doveva vigilare? E cosa è stato fatto perché pagasse per quella imperdonabile leggerezza? Ma la risposta, ahimè, la conosciamo. La conosciamo anche perché sappiamo che quella devastante esperienza non servì a nulla. E la riprova è il fatto che, dopo lo strazio delle Concezioniste, dopo il furto delle tre lapidi dalla base del campanile, nel 1998, mentre si svolgevano nella chiesa di Santa Sofia dei sedicenti lavori di restauro, ancora una volta non si provvide a fare niente perché non avvenissero atti criminali. Chi ridarà a Giugliano la “Caduta di San Paolo” di Giuseppe Marullo? Chi le restituirà un pezzo così prezioso della sua storia? Nel corso di quei “restauri” le impalcature che coprivano la facciata della chiesa avevano dispositivi antifurto? Se si, funzionarono? E se invece, come crediamo, non li avevano, perché non furono posti? Qualcuno ha pagato per quella inammissibile distrazione? No, nessuno ha pagato. Perché se un colpevole fosse stato a suo tempo individuato e se di quello scempio fosse stato fatto tesoro, si sarebbe provveduto ad installare nella collegiata di Santa Sofia un impianto d’antifurto almeno decente, e si sarebbe così evitato che meno di due anni dopo qualcuno si facesse chiudere nottetempo nella chiesa sottraendo otto, dico otto, capolavori straordinari.
Vergogna. Vergogna a chi allora c’era e non fece nulla. Un appello a chi adesso c’è affinché faccia qualcosa. Non tutto è perduto, le chiese, le piazze, le strade di Giugliano sono ancora ricche di testimonianze; testimonianze che attendono di essere conosciute, recuperate, salvate. La conservazione di queste preziose schegge di storia passa infatti attraverso la loro conoscenza. E’ quando un’opera d’arte entra nel cono d’ombra dell’indifferenza, del silenzio, che essa diventa vulnerabile Accanto alla conoscenza però, che vi sia quella tutela che sino ad oggi è mancata. Vent’anni fa nelle edicole poste fuori agli antichi cortili del centro storico era ancora possibile ammirare decine di maioliche votive settecentesche, simbolo di una devozione e di una spiritualità forte nel popolo giuglianese. In più occasioni si levarono voci perché quelle opere fossero rimosse e custodite in luoghi più sicuri. Ma quegli appelli caddero nel vuoto ed oggi di quelle maioliche non ne resta più nessuna. Non esistono impianti di sicurezza inviolabili, è però inequivocabile che laddove siano poste in essere tutte le misure necessarie, più remota è la possibilità che qualcuno impunemente possa commettere azioni delittuose.
Non è mai piacevole essere facili profeti di sventura, ma siamo certi che se non si cambierà decisamente rotta ci ritroveremo tra qualche anno a dovere aggiornare le pagine di questo lavoro domandandoci, con la stessa amarezza di oggi, quando questa città imparerà ad amare ciò che gli uomini, le donne che l’abitarono in un tempo lontano le hanno lasciato. Ma forse anche per questa, come per tutte le domande che sin qui ci siamo posti, non ci sarà risposta. In conclusione, sia consentito a chi scrive di rivolgere due affettuosi ringraziamenti. Il primo al presidente della Pro Loco Mimmo Savino. Alla sua determinazione di instancabile operatore culturale la città di Giugliano forse dovrebbe qualcosa. All’affetto col quale in tutti questi anni ha speso le sue energie per la realizzazione di tanti piccoli grandi sogni, il sottoscritto deve tutto. Un altro ringraziamento va a Tiziana Affinito. Si deve al suo immenso amore se queste ricerche, e molto altro ancora, continuano ad avere un senso. Ma questa, però, è un’altra storia.
Tobia Iodice