La ricerca storica è materia complessa e faticosa.
Di difficile fruizione.
Di norma si limita a illustrare una chiesa, un quadro, una opera architettonica. Nella odierna società della immagine questo porta ad una visione generalizzata di qualcosa che richiede l’impegno di pochi minuti se non pochi istanti.
Se questo può servire a creare la sensibilità generale che può portare e preservare quel bene che ben venga ma la ricerca storica si basa sulla lettura di documentazioni, del loro reperimento negli archivi, la loro interpretazione e catalogazione. Quando si illustra la mortalità infantile del passato o la aspettativa di vita non si lavora di fantasia, si raccolgono i dati dai registri parrocchiali leggendo le certificazioni, ad una ad una, li si cataloga per data, sesso, inumazione, generalità. Alla fine si tirano le somme e si indica se gli abitanti di quel posto avevano una aspettativa di vita comune ad altre località o maggiore o minore.
Da tempo questo lavoro lo sto conducendo da solo. Partendo da metà 1500 ho catalogato e informatizzato i dati inerenti Giugliano sino al 1660. Dati statici che si ripetono quasi con monotonia nella loro stabilità ma che talvolta si impennano per cause esterne: le epidemie.
L’anno 1656 fu un anno orribile. La peste colpì Giugliano tra luglio e settembre. Centinaia di morti con epicentro della infezione nella parrocchia di sant’Anna che, da sola, nel mese di agosto, fece registrare 171 decessi sui 288 dell’anno.
Salvo la parrocchia di san Giovanni anche le altre due parrocchie ebbero numeri di decessi triplicati rispetto alla norma.
Mi hanno colpito, catalogando i dati della parrocchia di san Marco, due fatti.
Siamo nel 1656 e leggendo le certificazioni di morte per peste trovavo il nominativo del sacerdote che aveva assistito i suoi parrocchiani negli momenti del trapasso. Mi meravigliavo di trovarlo citato per decine di volte, decine di moribondi ai quali aveva impartito la estrema unzione e data l’eucarestia.
Poi ho registrato la certificazione della sua morte: 27 agosto 1656, aveva 40 anni. Matteo de Simeone. Non fu il solo sacerdote a donare la vita per portare conforto agli appestati. Non furono molti a farlo ma alcuni lo fecero.
Segno che vivere una missione comporta anche il sacrificio della vita, opzione che dovrebbe avere sempre valore per chi sceglie certe strade e assume questi impegni dinanzi a Dio.
Salvo Agostino Basile nella sua opera nessuno lo ha mai ricordato. Cosa che faccio io con queste poche parole.
Il culmine della epidemia era passato ma restavano gli strascichi ora definiti “febbri maligne”.
Siamo arrivati al 1660, restavano focolai diffusi nelle zone dove la peste aveva colpito con maggiore virulenza.
Il 20 agosto muore Giulia Tesone.
E’ una bambina di otto anni. Una “febbre maligna”, durata pochi giorni, la ha uccisa, come altri bambini morti nello stesso mese.
Il padre si chiama Marco, aveva 38 anni,
Marco non regge alla perdita della piccola Giulia.
Muore di crepacuore il successivo 26 settembre.
Vite immortalate nelle pagine di polverosi registri che pochi, o nessuno, ha mai accarezzato, eppure sono la storia, perchè la storia è fatta dagli uomini, dalle loro vite e dalle loro morti.
In tutte le epoche. Scordare la loro quotidianità significa privarsi del proprio passato.
Antonio Pio Iannone