Ritorna a Giugliano l’opera di Giulio Ciccarello, musicista giuglianese della seconda metà del 1500.

Ritorna a Giugliano l’opera di Giulio Ciccarello, musicista giuglianese della seconda metà del 1500.




 

La prima volta che avemmo notizie di Giulio Ciccarello fu durante un colloquio con padre Antonio Galluccio all’interno della convento di santa Maria delle Grazie a Giugliano.
Da quel colloquio sono passati oltre quattro anni.
La notizia, in sé, era intrigante ma lo era molto di più la indicazione di una realtà musicale, artistica e culturale del casale di Giugliano sconosciuta ai più anche se ipotizzabile per la presenza dei Cimino, organari di fama nazionale ed internazionale, e di Sebastiano Santoro con il suo testo “Canto fermo”, manuale di tecnica di musica religiosa, un secolo dopo.
Una realtà sociale sconosciuta, perché mai studiata, che dovette essere popolata da un gruppo cittadino culturalmente elevato se è vero, come è vero, che tra essi operarono illustri giuristi come Francisco de Amicis, che pose una pietra miliare sulla questione giuridica dei feudi con il suo Amplissimus tractatus in materia feudorum, opera del 1591, pittori come Massimo Stanzione e novellieri come il nostro Giambattista Basile. Immagino i tanti altri che hanno visto perdere notizie del proprio operato nell’oblio di una comunità sempre più impoverita, culturalmente, sino alla esaltazione odierna di forme musicali tribali come massima espressione di cultura locale.
Insomma la notizia di questo Giulio Ciccarello ci mise all’opera.
Individuammo il suo lavoro pubblicato a Venezia, nel 1568, sotto il patrocinio di Galeazzo Pinelli, dal titolo Mottetti 4-5 o Sacrae Cantiones, e, proseguendo nella ricerca, appurammo che quello che in patria era uno sconosciuto negli Stati Uniti d’America era un autore musicale studiato ed inserito in una prestigiosa serie di edizioni musicali.
Insomma Giulio Ciccarello era ritenuto un massimo esponente della tradizione musicale sacra del momento in cui visse. Accanto a lui i fratelli Giovan Tommaso e Alfonso, noti cembalari, che si erano trasferiti in Napoli lasciando notizie del proprio lavoro tra il 1577 e il 1618. Tutti e tre riportati nelle pubblicazioni specializzate edite tra il 1800 e il secolo scorso.
Ma del testo di Giulio vi era solo la pubblicazione fatta dagli americani, ovviamente, in lingua inglese.
Dovevamo trovare l’edizione originale.
I casi della vita sono tanti e imperscrutabili.
Il professore Domenico Antonio d’Alessandro, esperto di fama internazionale di musica e di arte, apprende dagli studiosi dell’Archivio di Stato di Napoli del mio lavoro sulla storia di Giugliano e sulle documentazioni inerenti Massimo Stanzione reperiti attraverso le ricerche fatte da me e Mimmo Savino negli archivi parrocchiali.
Ci contatta ed organizziamo una visita a Giugliano, da lui mai visitata nonostante sia uno studioso del Basile.
Il discorso scivola sulla Giugliano del Basile e si arriva al Ciccarello Giulio e sulla importanza rivestita tra gli studiosi americani.
Passa poco tempo e il professore d’Alessandro trova una copia del testo del Ciccarello del 1568.
È collocata presso il Museo della musica di Bologna.
Ne facciamo richiesta e ne otteniamo copia, ovviamente con costo a carico della pro loco.
Oggi, seppur sotto forma di un moderno file di immagini, il lavoro di uno sconosciuto in patria, quanto illustre nel mondo, figlio di Giugliano ritorna nel luogo della sua elaborazione.
L’idea di eseguire le sue opere mediante il lavoro di un illustre musicista e di un famoso coro polifonico è stata avanzata dal prof. D’Alessandro. Ovviamente ha un costo e quindi rimane, per ora, una idea.
Oggi ci conforta il fatto che un lavoro di recupero di un pezzo della nostra storia, quella vera, elegante, superlativa è ritornata tra noi e ne siamo fieri. Io e Mimmo Savino.

Pio Iannone
30 novembre 2017