78 ° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI PIAZZA ANNUNZIATA

78 ° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI PIAZZA ANNUNZIATA




L’eccidio di Piazza Annunziata

Giugliano, 29/30 settembre 1943

 Episodi di violenza dopo l’8 settembre

L’8 settembre del 1943 l’Italia firmò l’armistizio con gli Stati Uniti, determinando il ribaltamento dei fronti; ci trovammo, così, col nemico in casa, i Tedeschi che fino al giorno prima era stati i nostri alleati. E magari il popolo neanche sapeva che agli alleati tedeschi erano subentrati gli alleati americani. Pertanto, la vera guerra per il popolo italiano, confuso col suo esercito sbandato, cominciò proprio l’indomani dell’8 settembre.

A Giugliano la situazione non era diversa dalle altre parti, con i Tedeschi acquartierati sulla strada che conduce a Villaricca. L’esercito tedesco è in rotta. Una ritirata lenta, progressiva, verso posizioni più vantaggiose. Vige il coprifuoco, ed il terrore. I Tedeschi hanno stabilito che per ogni soldato ucciso avrebbero fucilato dieci Italiani. Ma dalle nostre parti non c’è nulla da temere, perché non esiste una colonna partigiana; chi oserebbe sfidare il nemico in casa col rischio di una feroce rappresaglia? Tuttavia, gli uomini sono spariti, fuggendo nelle campagne o restando nascosti sui tetti; i Tedeschi, nella loro pesante ritirata, stanno razziando gli uomini per la deportazione.

Ma i giorni di terrore si preannunciano a Giugliano, dopo l’8 settembre, con l’incubo dei saccheggi, delle devastazioni e degli assassini perpetrati dai nostri ex alleati, che da un giorno all’altro ci erano diventati ostili, perseguitando soprattutto la popolazione inerme e indifesa.

L’eco delle stragi e dei combattimenti ci arriva attenuata dalle altre regioni, mano a mano che avanza l’esercito americano di liberazione, con i Tedeschi che travolgono ogni cosa nella loro fuga precipitosa, razziando nelle campagne provviste di viveri e distruggendo qualsiasi automezzo. A chi si oppone alla loro feroce tracotanza non resta il tempo per raccomandare l’anima a Dio: si susseguono le esecuzioni sommarie per soddisfare l’ansia di una vendetta trasversale contro la povera gente che era rimasta ai margini della drammatica realtà di una guerra che fino ad allora aveva significato soltanto privazioni e sacrifici per la partenza al fronte di padri, mariti e figli in età abile al lavoro, lasciando alle donne, ai giovinetti e agli anziani l’eredità delle campagne incolte.

La nostra gente avverte l’avvicinarsi della vendetta tedesca. Si era avuto già qualche morto sulle strade periferiche, ed in molti decidono di lasciare i campi per trovare scampo e protezione in paese, tra le case nascoste dietro i vicoli.

A cinque giorni dall’annunzio dell’armistizio con gli Americani, a Giugliano abbiamo la prima ignara vittima innocente. È il 13 settembre 1943; un’ora prima di mezzogiorno il giovane Antonio Palumbo, di 20 anni, si imbatte in una pattuglia tedesca su di una strada periferica di Giugliano, ed è fucilato senza una ragione.

Tuttavia, c’era già stata una vittima, due giorni prima, durante l’assalto ai depositi militari abbandonati dai soldati presso il mercato ortofrutticolo ed il campo sportivo: qui una donna di 33 anni, Giuseppina Mallardo, era rimasta uccisa nel crollo di una baracca, mentre alcuni uomini imprudentemente ne smontavano le strutture in legno per portarsele via.

Momenti di tensione

Quei tredici inermi concittadini furono condotti in Piazza Annunziata, schierati davanti al plotone d’esecuzione, ad aspettare la morte con le mani intrecciate sul capo

A temere di più il nemico tedesco che scorrazza pericolosamente sulle strade di collegamento intercomunali sono i giovani ed i pochi uomini rimasti in età di arruolamento, dai 18 ai 33 anni, che dovevano sottrarsi all’obbligo di rispondere alla chiamata alle armi nelle file dell’esercito tedesco. Le donne facevano la guardia a mariti e fidanzati che si spostavano sui tetti da un capo all’altro del paese, trascorrendo in ozio le lunghe giornate di settembre, incollati alla voce di una vecchia radio accesa, giocando a carte o fantasticando una improbabile insurrezione, armati di qualche vecchio moschetto, a fianco dei liberatori americani.

Erano ormai interrotti i collegamenti con Napoli e, dopo aver distrutto tutti i ponti e le reti tramviarie, i Tedeschi avevano fatto saltare le centrali elettriche. Dal tramonto anche Giugliano era al buio. Nelle case si riaccendevano i lumi a petrolio e le candele, che era difficile trovare nei pochi negozi scampati ai saccheggi.

Conserviamo una testimonianza inedita degli eventi che si succedettero a Giugliano dal mercoledì 29 settembre al lunedì 4 ottobre 1943. Il signor Placido Briante, uno dei tanti sfollati della fascia costiera napoletana, abitava con la moglie ed i suoi sei figli nel cortile del palazzo della signora Lina Taglialatela Scafati, al vico Martino.

Per rivisitare quei momenti drammatici della nostra storia locale attingiamo in parte anche dal suo racconto, che riteniamo determinante per la ricostruzione degli avvenimenti riferiti all’uccisione del soldato tedesco.

Nel pomeriggio di mercoledì 29 settembre, «verso le ore 16 fui obbligato ad uscire per la compra di qualche candela… Mia figlia Bianca di dodici anni non volle che uscissi solo e mi accompagnò tutta tremante perché presa dal terrore per la solitudine del Corso Campano… lei si strinse molto a me ed insieme percorremmo un 200 passi [andando verso piazza Municipio], ma tutto era squallore e nessuna bottega aperta; quindi fui costretto a tornare indietro… Mia figlia ogni tanto mi incitava ad essere più lesto perché aveva paura di camminare».

È evidente, da questa testimonianza, il quadro di desolazione che era rappresentato a Giugliano in quel tragico pomeriggio di [78] anni fa. Il Corso Campano, che era di solito animato dal viavai di tutta la gente che abitava nei vicoli ad esso contigui, da piazza San Nicola all’Annunziata, era sprofondato in un silenzio ovattato e abbacinato dal sole pomeridiano.

L’agguato al soldato altoatesino

Il prologo di una tragedia immane si consumò in poco meno di cinque minuti, nel rimbombo concitato dei passi che si rincorrevano sul basolato di quella strada, da piazza Trivio scorrendo verso la piazza dell’Annunziata.

Sono in pochi a ricordare quegli eventi, ai quali furono pavidi testimoni soltanto alcuni ragazzi nascosti dietro i vicoli; e tra questi c’era allora il quindicenne Alberto Scialò, che abitava con la famiglia al vico Meridiana. Egli, valente nostro concittadino, autore di delicate poesie e di alcuni pregevoli romanzi, nel dicembre del 1976 ha pubblicato il racconto «Autunno di sangue», nel quale aveva trasfusa  la sua testimonianza diretta, e che riproponiamo integralmente in appendice, per la dovizia di particolari riferiti anche agli eventi che precederono la tragedia di quei giorni.

Nel tardo pomeriggio del 29 settembre nelle strade di Giugliano c’è solo qualche donna, ed i ragazzi agli angoli dei vicoli a far da sentinella agli uomini che giocano a Tressette, nel caso che un camion tedesco si fermi nelle vicinanze. All’improvviso un’esplosione in piazza Trivio; poi un altro scoppio: pare una bomba a mano lanciata contro il muro del fabbricato che guarda diritto in via Licoda. Alcuni ragazzi sono testimoni da lontano, dall’angolo del vico Meridiana; vedono un uomo in divisa correre dalla loro parte, con qualcosa in mano, che è scambiato poi per una grossa pistola (ma si tratta probabilmente di una bomba a mano, di quelle con il manico); il soldato si volta a guardare spesso alle proprie spalle: si sente braccato. Supera i ragazzi nascosti all’angolo del vico Meridiana e corre verso piazza Annunziata, per la strada fattasi deserta. Una pistola crepita all’improvviso: cinque, sei colpi… l’eco dei passi si è spenta.

L’altro testimone, il signor Placido Briante, così riferisce: «Appena cominciammo la via del ritorno [da piazza Municipio al vico Martino] a pochi passi da noi, alle nostre spalle, udimmo il colpo di una granata a mano; ci voltammo a guardare [io e mia figlia Bianca] e vedemmo un tedesco correre verso la nostra direzione e lanciare contemporaneamente altre due granate. Presi dal panico cercammo rifugio presso una bottega semichiusa, spingemmo la porta e una donna anziana che stava all’interno tutta tremante ci accolse subito mi fece chiudere sprangando la medesima per maggior sicurezza. Dall’esterno udimmo il passo veloce del tedesco che fuggiva, perché inseguito da persona che gridava: ‘‘Uccidetelo, uccidetelo, è disarmato’’… pochi istanti dopo una detonazione ed una voce: ‘‘L’aggio acciso’’».

Si teme la rappresaglia

Subito la notizia si spande: «Hanno ammazzato un tedesco». È imprudente rimanere nelle strade. Il soldato tedesco che avevano visto i ragazzi giace all’angolo del vico Gambuzzi, con le braccia aperte, come crocifisso, su un cumulo d’immondizia, crivellato di colpi. Verso sera il cadavere è arrivato al vico Ponte, trasportato dagli abitanti del vico Gambuzzi, timorosi di rappresaglie. Alcuni uomini discutono sul da farsi; è inutile riportarlo al corso, col rischio di imbattersi nei Tedeschi. Una donna abbastanza giovane suggerisce di sotterrarlo nel vicino giardino; ma non è ascoltata. Chiamano un tale Peppino ‘o scemo, gli danno dieci lire e glielo sistemano sopra un carrettino per farlo scaricare dietro il Cimitero, appena farà buio.

Il corpo, con le braccia spiegate, issato sul carrettino, è coperto con un lenzuolo. Il paese si rassicura, e la notte trascorre tranquilla. Ma di mattino presto si viene a sapere che Peppino ‘o scemo, all’angolo di via Camposcino, all’incrocio con via Guglielmo Marconi, imbattutosi in una pattuglia tedesca, ha abbandonato il suo carico e si è dato alla fuga. Il cadavere è stato sistemato all’angolo, seduto contro il muro, per poi recuperarlo; così lo vedono alcuni contadini usciti di buon’ora per andare nei campi.

La paura stende un velo di apprensione. Prima di mezzogiorno giungono in paese truppe motorizzate, protette da carri armati leggeri. L’unico telefono esistente viene fatto saltare a colpi di bombe a mano. La reazione si annunzia violenta. Qualcuno cerca di avvertire don Saverio ‘o tranviere, che, qualche giorno prima, con alcuni uomini si era ritirato verso il cavone per organizzare la resistenza, trasferendo nelle campagne armi, munizioni e pochi viveri. Nel primo pomeriggio, verso le tre, comincia il rastrellamento, poiché non si era trovato il responsabile dell’uccisione del soldato. I Tedeschi si erano rivolti al Dott. Giuseppe Aprile, Commissario prefettizio a Giugliano, per avere il nome di quell’uomo, ma senza ottenere soddisfazione.

Si diceva che per il soldato ucciso i Tedeschi avrebbero fucilato dieci Giuglianesi; altri avevano sentito parlare di cinquanta persone da massacrare per ogni Tedesco trovato morto. Ma ormai la furia omicida degli ex alleati rispondeva soltanto ad una smisurata e sbrigativa sete di vendetta.

Rastrellati casa per casa

Il 30 settembre c’era, dunque, da aspettarsi una ritorsione feroce e spropositata per il soldato ucciso. La rappresaglia fu circoscritta alla zona centrale tra il Corso Campano e la piazza Annunziata, perché il cadavere era stato ritrovato in una delle strade viciniori.

Le pattuglie tedesche si mossero dalla sede del loro Comando, sulla strada che conduce a Villaricca (l’attuale via Aviere Mario Pirozzi), dilagando nei vicoli tra via Licante ed il Corso Campano. Gli uomini furono per la maggior parte strappati alle loro case, dove fidavano di essere protetti dalla vigile sorveglianza delle loro donne. Alcuni furono catturati in istrada, ignari addirittura dei motivi di quella rappresaglia: venivano occasionalmente da Villaricca, come Aldo Sarnelli e Mario Schiattarella, o si trovavano a passare per Giugliano per chissà quale altro affare, come Francesco Borzacchelli. Ernesto Cerqua abitava in via Antimo Panico, ma forse si trovava a transitare per il Corso Campano, tornando dal lavoro nei campi. Antonio Guarino, Umberto De Biase e Stefano Di Marino furono presi insieme nei pressi del vico Sorbo, in via Licante, dove erano soliti riunirsi nel pomeriggio. Salvatore Sestile cadde nelle mani dei Tedeschi mentre usciva dalla cantina “d’ ’ o Masto d’’a (g)rotta” per rientrare a casa, di fronte, al vico D’Ausilio. Con lui fu catturato anche Luigi Bastiani, che era claudicante. Un’altra pattuglia si spinse nei dedali di vico Miciano, stanando gli uomini casa per casa e riuscendo a trascinare in piazza Gennaro Vassallo, Felice Granata, Clemente Borretti e Paolo Cacciapuoti; questi tentarono inutilmente la fuga, arrampicandosi sui tetti e cercando di raggiungere i cunicoli sotterranei; e qualcuno, protetto dalle donne che si stringevano attorno ai malcapitati, riuscì a scappare; pare che anche un altro abbia tentato la fuga, un Siciliano, ma si dice sia stato raggiunto dai Tedeschi ed ucciso.

Nel vico Miciano erano stati fermati anche due Vigili Urbani, Antonio Buonanno e Giulio De Cicco. Il Comandante dei Vigili, Michele Scialò, era preoccupato per la reazione che si preannunciava da parte dei Tedeschi, e ordinò di richiamare con urgenza in servizio tutti gli agenti, per concordare insieme con il Maresciallo dei Carabinieri un eventuale intervento teso a scongiurare un epilogo drammatico. Il Vigile Buonanno era andato a chiamare il collega De Cicco, che abitava nel vico Miciano. Arrivato a casa di questi, raccomandò ai presenti di far nascondere gli uomini, perché le cose si mettevano male. A mezza strada ebbero di faccia la pattuglia dei soldati tedeschi che avevano cominciato la caccia agli uomini casa per casa. I due Vigili Urbani, che non vestivano la divisa, furono fermati per essere portati insieme agli altri malcapitati. Ma furono rilasciati, dopo aver mostrato il tesserino di servizio. Infatti, i Tedeschi si avvalevano della collaborazione dei Vigili Urbani per reperire gli uomini da impiegare nel lavoro di scavo delle trincee; ad essi era, inoltre, affidato il controllo della linea telefonica.

Se non vi furono altre vittime, è perché forse i Tedeschi non disponevano in quel momento di uomini e mezzi sufficienti per allargare il raggio del rastrellamento, e perché si doveva consumare una vendetta immediata: bisognava dare una dimostrazione di forza, atta a stroncare qualsiasi velleità di rivolta, e che fosse di monito per l’intera popolazione.

Fucilati in Piazza Annunziata

Giovani e adulti vengono condotti in piazza Annunziata, mentre tre carri armati ed un lungo cordone di soldati presidiano le strade confluenti in piazza: via Licante, via Selcione ed il Corso Campano. Sono in tredici, schierati ai piedi del sagrato, ad aspettare la morte con le mani intrecciate sul capo.

Crepitarono i mitra e caddero uno accanto all’altro, nel pomeriggio di quel 30 settembre 1943, alle ore 16,05. Feriti, alcuni si rialzarono contorcendosi, nel tentativo istintivo di scappare, ma stramazzarono al suolo falciati da un’altra raffica di proiettili. Rimasero a terra, con accanto i soldati armati che li proteggevano dall’amore feroce delle loro donne che dall’angolo di vico Miciano gridavano strazianti inutili invocazioni. Dopo più di mezz’ora i Tedeschi si ritirarono, e nella piazza accorsero le donne ed i ragazzi, a riconoscere i propri cari straziati. Più tardi ritornarono in piazza i soldati a contendere quello spettacolo alla pietà dei familiari.


 

 

 

 

 

 

Mancano purtroppo le foto degli altri cinque

In chiesa ad implorare pietà

Dalla testimonianza di Don Vincenzo Panico sappiamo che il pomeriggio del 30 settembre la chiesa dell’Annunziata era aperta, e vi erano con lui altri tre sacerdoti: Don Cresenzo Rega, Don Luigi Granata e Don Antonio Camerlingo. Verso le ore 16 stavano per uscire sul sagrato per recarsi alla chiesa di Santa Sofia; ma furono ricacciati dentro precipitosamente dal sacrestano Giuliano Di Nardo, che, vedendo arrivare in piazza i Tedeschi con gli ostaggi da fucilare, provvide subito a sprangare il portone dall’interno.

Dopo qualche minuto i sacerdoti, riparati nei pressi dell’altare maggiore, sentirono delle raffiche di mitra, senza rendersi conto di quello che stava accadendo in piazza.

Trascorsa una mezz’ora, Don Luigi Granata si avvicinò al portale per spiare dal buco della serratura. Sconvolto alla vista di quel massacro, con le donne riverse sui loro cari, richiamò gli altri sacerdoti. La chiesa fu subito riaperta, ed il Rettore Don Vincenzo scese in piazza ad impartire la benedizione tra i morti e i moribondi che boccheggiavano sul basolato.

Le donne si riversarono quindi in chiesa, ad implorare pietà davanti al simulacro della Madonna della Pace e a sfogare nel pianto tutta la loro incontenibile disperazione. Poi ritornarono soldati ad impaurire quella gente straziata, e la piazza fu abbandonata in un’atmosfera di truce desolazione.

 

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Emmanuele COPPOLA

Testimonianze ed eventi a Giugliano

dall’8 settembre al 5 ottobre 1943

Edito nel Settembre 1993 dal Centro Studi alberto Taglialatela, con il Patrocinio dell’Amministrazione comunale, nel 50° anniversario della strage di Piazza Annunziata.